I Maestri del Rinascimento in Romagna - I luoghi (I parte)

DOZZA

Chiesa di S. Maria Assunta

La chiesa di Santa Maria Assunta di Dozza contiene la Madonna con Bambino in trono tra santi, dipinto di Palmezzano Marco.

La Madonna è seduta in trono al centro, indossa una veste rossa e manto blu, e regge il Bambino in piedi sulle sue ginocchia. A destra S. Margherita in piedi frontale, che indossa una veste blu e manto rosa. A sinistra S. Giovanni Battista in veste marrone che regge la croce, attorno alla quale è avvolto un nastro bianco con scritta. Sullo sfondo un paesaggio, in basso è rappresentato un pavimento in marmo policromo.

L'opera, molto pregevole, era collocata in un locale della sacrestia e forse, ancora prima, entro l'ancona di qualche altare. Fu probabilmente eseguita per volontà di un parrocchiano, come lascia supporre la dedica: G. Bernardi, come risulta dagli Estimi dell'Archivio Storico Comunale di Dozza, era uno dei maggiori proprietari terrieri nel periodo che va dal 1450 circa al 1490; non è improbabile che commissionasse il lavoro per la Chiesa della sua parrocchia, a testimonianza della sua pietà religiosa per la Vergine e il S. Giovanni.

 

BRISIGHELLA

Chiesa di S.Maria degli Angeli o dell’Osservanza

Madonna col bambino in trono, fra tre angeli e quattro santi di Marco Palmezzano è collocata al centro dell’abside ed è firmata e datata, come attesta il cartiglio in basso: “Marchus Palmezanus Foroliviensis faciebat MCCCCCXX”. Il dipinto è inserito nella cornice originale intagliata e decorata, secondo alcuni studiosi, su disegno dello stesso Palmezzano. La predella è andata perduta, restano solo due tavolette laterali che rappresentano l’arcangelo Gabriele a sinistra e la Vergine Annunciata a destra.

L’impianto dell’opera, che rappresenta una “Sacra Conversazione” si basa su una sapiente simmetria bilaterale, al centro della quale spicca la Vergine, che mostra con uno sguardo di adorazione il Figlio benedicente. È seduta su un trono, avvolta da un manto che scende fluente fino al gradino sul quale poggia i piedi. Il basamento del trono è ornato di grottesche policrome su fondo dorato. Il Palmezzano infatti, presente a Roma alla fine del 1400, aveva certamente ammirato gli affreschi della domus aurea di Nerone, riportati alla luce in quel periodo: figure bizzarre, animali fantastici, chimere, sirene, motivi vegetali, chiamati appunto “grottesche”, che i pittori del tempo, e lo stesso Palmezzano, più volte riprodussero.

Ai lati della Vergine, due angeli sollevano le cortine di un baldacchino, simbolo di regalità.

I santi sono disposti simmetricamente intorno alla Madonna, colti non in atteggiamento orante, ma nella quotidianità dei loro gesti, quasi in un atteggiamento di ascolto del cherubino musicante al centro, seduto sulla predella del trono.

Sul lato sinistro s. Francesco, identificato dalle stimmate, legge un libro, tenuto aperto davanti a sé: è la Regola dell’Ordine da lui fondato, approvata dal papa.

Alle sue spalle s. Antonio Abate, con l’immancabile porcellino, si appoggia al bastone col manico a T, profezia della Croce.

Sul lato destro, s. Girolamo si percuote il petto con un sasso e indossa un mantello di porpora a sottolineare il suo titolo cardinalizio.

La figura del guerriero in una lucente armatura, cinto il collo da una catena con medaglia, con un manto violetto fermato sulla spalla destra, è piuttosto controversa. Si credeva raffigurasse s. Valeriano, protettore di Forlì, già rappresentato dal Palmezzano in un’altra opera con una Madonna pressoché identica a questa. Non ha però il vessillo, che abitualmente porta, ma una lunga asta. Forse è s. Giorgio, che con l’asta uccise il drago. Ci sarebbe quindi un implicito riferimento alla famiglia brisighellese dei Naldi, che qualche anno prima (1514) gli aveva commissionato una tavola con l’Adorazione dei Magi. I Naldi erano capitani di ventura che provenivano appunto da S. Giorgio in Vezzano ed erano alla guida dei Brisighelli, soldati armati di una lunga lancia.

Il Padre Eterno sempre del Palmezzano si trova nella lunetta la figura di Dio Padre, vecchio e benedicente, con la barba bianca bipartita, è circondato da un nugolo di cherubini. La sua figura, con le braccia distese, assume una forma triangolare, che richiama la Trinità rievocata anche dalla mano benedicente con le tre dita sollevate.

La tavola, ripulita nel 1957 ed esposta a Forlì in occasione di una mostra sul grande pittore forlivese, ha subito di recente un nuovo restauro ed è stata ricollocata al suo posto nel 2004.

 

Collegiata di San Michele Arcangelo

Adorazione dei Magi del Palmezzano è l’opera collocata dal 2000 nella prima cappella della Collegiata, a destra entrando e proviene dalla pieve di Rontana, parrocchia ora soppressa a pochi chilometri da Brisighella. Fu commissionata al Palmezzano per cento ducati d’oro, nel 1514 dalla famiglia brisighellese dei Naldi, capitani di ventura che combatterono per vari signori, ma soprattutto per i veneziani. Il loro stemma, una mano che stringe un mazzo di veccia, indica la loro origine: provenivano infatti da S. Giorgio in Vecciano (oggi Villa Vezzano) dove abbondava questa leguminosa. Lo stemma è raffigurato nello scudo sorretto da un puttino nella candelabra in alto a sinistra.

Quasi al centro della composizione, la Beata Vergine seduta sopra un masso, in posizione frontale, tiene sulle ginocchia il Bambin Gesù davanti al quale è inginocchiato uno dei magi con i capelli bianchi e la barba fluente: è Gaspare, che bacia un piede al Bambino, mentre gli presenta il suo dono, un cofanetto d’oro sul quale si nota un cartiglio che porta la data e la firma del pittore: “Marchus Palmizanus pictor foroliviensis faciebat MCCCCCXIIII”. Gesù Bambino volge lo sguardo benedicente agli altri due magi, Gaspare e Melchiorre, che contrariamente all’iconografia tradizionale, non è nero. A sinistra si intravede s. Giuseppe, vecchio e un po’ curvo, che si appoggia al bastone. Dietro a loro le colonne marmoree di un ricco edificio, mentre sullo sfondo un corteo avanza entro un paesaggio aperto di colline, castelli, aspre montagne e vallate dove si muovono guerrieri a piedi, a cavallo e carovane di cammelli.

L’opera si caratterizza per l’equilibrio compositivo, la signorilità degli atteggiamenti dei personaggi, l’accurata finezza dei particolari, la fastosità e la ricchezza decorativa. Secondo alcuni studiosi, nel re di destra viene rappresentato un personaggio storico: si tratterebbe di un imperatore d’oriente, Giovanni VIII Paleologo, penultimo imperatore di Costantinopoli, il quale nel 1438 intraprese un viaggio in Occidente per cercare aiuto di fronte alla minaccia dei Turchi. La ricchezza del seguito imperiale rimase impressa nell’animo di molti. Alcuni pittori rappresentarono l’imperatore nelle loro opere: Benozzo Gozzoli, nel “Corteo dei Magi” di palazzo Medici a Firenze e Piero della Francesca nella “Flagellazione” di Urbino. Molti anni dopo, anche il Palmezzano volle rievocare la figura di questo sovrano in questa sua “Adorazione”, anche se l’impero d’oriente era ormai scomparso.

Disputa di Gesù fra i Dottori: Alla tavola è sovrapposta la lunetta, con la disputa di Gesù fra i dottori, i quali si vedono solo a mezza figura. Gesù fanciullo domina la composizione, presentandosi al centro, con le braccia allargate in veste rossa e manto verde. I dottori, tre per lato, affiancano il personaggio centrale.

L’opera ha subito un radicale restauro, durato quattro anni, per mano della dott.ssa Marisa Caprara di Bologna, che ha posto rimedio alle insidie del tempo, dell’umidità, di insetti xilofagi, di restauri maldestri, e l’ha riportata al primitivo splendore.

 

FAENZA

Pinacoteca Comunale

 

Marco Palmezzano: Madonna con Bambino in trono fra san Michele Arcangelo, san Giacomo Minore, nella lunetta Padre eterno e cherubini, commissionata nel 1497, tavola.

Commissionandola il 12 giugno 1497, i committenti, priori della Confraternita di San Michelino, chiesero un'opera tale da essere giudicata dai periti dell'arte più degna e più bella di qualunque altra tavola esistente a Faenza. Il risultato, già apprezzato dai committenti quando completarono il pagamento tre anni dopo la loro richiesta, fu, come ha scritto Giordano Viroli, «uno dei massimi raggiungimenti dell'attività iniziale del Palmezzano», dove l'influenza del maestro Melozzo si fonde con coerenza alle esperienze della scuola veneta. Particolarmente riusciti i due santi laterali, con un San Michele Arcangelo vestito, secondo Carlo Grigioni, <più che d'una armatura d'eroica bellezza», e il San Giacomo Minore, figura mite, dignitosa e assorta.Grande importanza ha anche il paesaggio sullo sfondo, con fresche scene simboliche e minuziosa descrizione naturalistica. L'ambientazione è rinchiusa in una.complessa architettura capace di mantenere equilibrio dando piena e matura regalità alle sacre figure.

 

Marco Palmezzano: Tobiolo e l'Arcangelo Raffaele, primi decenni del sec. XVI, due tavole.

Le due tavole raffiguranti Sant’Agostino e l'Arcangelo sono sicuramente due frammenti di uno stesso polittico. La testimonianza dell Oretti e la presenza di Sant Agostino risolverebbero il caso a favore della Chiesa di Sant’Agostino come sede d'origine. In entrambe le tavole le figure sono inserite in una sontuosa architettura con colonne e pilastri ornati da grottesche su fondo oro. Sant’Agostino è raffigurato in piedi con in capo la mitra bianca con gemme preziose montate in oro, il piviale rosso con decorazioni in oro e veste scura. E’ intento a leggere un libro che tiene in mano, mentre con l'altra regge il pastorale. Nell'altra tavola l'Arcangelo è con il piccolo Tobia, che ha un'età inferiore rispetto all'episodio biblico. Tobia porge il dito all'angelo e nell'altra tiene il pesce. La pennellata, le scelte cromatiche e l'uso di una luce calda sono elementi ripresi dalla pittura veneta, in particolare da quella di Giovanni Bellini, e denunciano una fase assestata nel percorso di Marco Palmezzano.

 

Marco Palmezzano: S. Ambrogio (?),primi decenni del sec. XVI, due tavole.

Da un recente restauro è stato rilevato che le due tavole, oltre ad avere simili misure, presentano anche simili venature del legno. Quindi è lecito pensare che esse facessero parte di uno stesso complesso. Non sappiamo se originariamente fossero a figura intera o a mezzo busto, furono viste nel 1777 nella sacrestia della chiesa di Sant'Agostino da Marcello Oretti. La figura in cappa rossa, con l'abito bianco,colta nell'atto di leggere il libro della Sacra Scrittura, è stata identificata come San Girolamo. L'altra figura, con il pastorale, il libro, la mitria bianca e il piviale riccamente ornato, è stata variamente interpretata: come un Dottore della Chiesa, come Sant'Agostino o come Sant'Ambrogio. Anche in queste due tavole è evidente l'influsso della pittura veneta, in particolare del Bellini: una luce proveniente dall'alto illumina e risalta i volti dei due santi. Qualcuno avanza l'ipotesi che le due opere, insieme al Sant'Agostino e all'Arcangelo, facessero parte di un'unica pala agostiniana,altri invece sostengono che i due frammenti abbiano fatto parte di una pala distinta da quella con Sant'Agostino e l'Arcangelo.

 

Marco Palmezzano: Sant’Agostino, 1505.

Opera abbinata a Santo Vescovo, San Girolamo e Tobiolo con l’Arcangelo Raffaele.

Le quattro tavole sono probabilmente i frammenti di un una pala d’altare, della quale non sono note né la committenza né notizie storiche antiche. Nel 1777 esse furono viste, già divise, dal bolognese Gian Marcello Oretti nella chiesa faentina di Sant’Agostino.

Nei due pannelli più piccoli sono raffigurati da una parte un santo vescovo, forse S. Ambrogio, dall’altra San Girolamo, dalla veste cardinalizia, intento a leggere un libro: è la Vulgata, la traduzione in latino della Bibbia da lui composta. Nei due pannelli più grandi sono invece rappresentati Sant’Agostino, con i paramenti vescovili sulla tonaca nera, e L’arcangelo Raffaele con Tobia. Secondo la Bibbia cristiana, il giovane Tobia intraprese un lungo viaggio in compagnia di un misterioso personaggio, che lo aiutò a superare diverse peripezie. Questi, alla fine del racconto, si rivelò essere l’Arcangelo Raffaele, che nella devozione popolare era diventato per antonomasia “L’angelo custode”, ovvero l’intermediario di Dio che accompagna e guida gli uomini attraverso tutte le fasi e i momenti difficili della vita.

 

Marco Palmezzano: San Girolamo, 1505.

Opera abbinata a Santo Vescovo, Sant’Agostino e Tobiolo con l’Arcangelo Raffaele.

Le quattro tavole sono probabilmente i frammenti di un una pala d’altare, della quale non sono note né la committenza né notizie storiche antiche. Nel 1777 esse furono viste, già divise, dal bolognese Gian Marcello Oretti nella chiesa faentina di Sant’Agostino.

Nei due pannelli più piccoli sono raffigurati da una parte un santo vescovo, forse S. Ambrogio, dall’altra San Girolamo, dalla veste cardinalizia, intento a leggere un libro: è la Vulgata, la traduzione in latino della Bibbia da lui composta. Nei due pannelli più grandi sono invece rappresentati Sant’Agostino, con i paramenti vescovili sulla tonaca nera, e L’arcangelo Raffaele con Tobia. Secondo la Bibbia cristiana, il giovane Tobia intraprese un lungo viaggio in compagnia di un misterioso personaggio, che lo aiutò a superare diverse peripezie. Questi, alla fine del racconto, si rivelò essere l’Arcangelo Raffaele, che nella devozione popolare era diventato per antonomasia “L’angelo custode”, ovvero l’intermediario di Dio che accompagna e guida gli uomini attraverso tutte le fasi e i momenti difficili della vita.

 

Marco Palmezzano: Santo vescovo, 1505.

Opera abbinata a San Girolamo, Sant’Agostino e Tobiolo con l’Arcangelo Raffaele.

Le quattro tavole sono probabilmente i frammenti di un una pala d’altare, della quale non sono note né la committenza né notizie storiche antiche. Nel 1777 esse furono viste, già divise, dal bolognese Gian Marcello Oretti nella chiesa faentina di Sant’Agostino.

Nei due pannelli più piccoli sono raffigurati da una parte un santo vescovo, forse S. Ambrogio, dall’altra San Girolamo, dalla veste cardinalizia, intento a leggere un libro: è la Vulgata, la traduzione in latino della Bibbia da lui composta. Nei due pannelli più grandi sono invece rappresentati Sant’Agostino, con i paramenti vescovili sulla tonaca nera, e L’arcangelo Raffaele con Tobia. Secondo la Bibbia cristiana, il giovane Tobia intraprese un lungo viaggio in compagnia di un misterioso personaggio, che lo aiutò a superare diverse peripezie. Questi, alla fine del racconto, si rivelò essere l’Arcangelo Raffaele, che nella devozione popolare era diventato per antonomasia “L’angelo custode”, ovvero l’intermediario di Dio che accompagna e guida gli uomini attraverso tutte le fasi e i momenti difficili della vita.

 

Marco Palmezzano: Cristo portacroce, 1520-1530.

Il dipinto mostra uno dei momenti più drammatici della Passione di Cristo: l’andata al Monte Calvario, luogo in cui egli verrà crocifisso. Dietro a Gesù e all’aguzzino che sta tirando una corda legata al suo collo, assistono alla scena due personaggi, forse da identificare come Nicodemo e Giovanni d’Arimatea, ovvero coloro che dopo la morte di Cristo avrebbero provveduto alla sua sepoltura.

Opere di questo genere erano concepite per una devozione privata e dovevano suscitare la commozione dei fedeli.

Marco Palmezzano ha replicato diverse volte il tema del Cristo portacroce: a riprova di un certo successo conosciuto in terra romagnola tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento di questo tipo di immagine. Anche altri pittori a lui contemporanei vi si sono infatti cimentati, realizzando composizioni molto simili. Nella tavola della Pinacoteca l’influenza della pittura veneta è evidente, risultato del suo soggiorno nel 1495 a Venezia.

 

Museo Diocesano

 

Marco Palmezzano; Adorazione dei Magi

Tra i capolavori arrivati nella Sala del Trono, uno spazio di primo piano merita l’Adorazione dei Magi di Marco Palmezzano (1460-1538), commissionata dalla famiglia Naldi di Brisighella per la chiesa di Rontana nel 1514. Traslata poi alla Collegiata di San Michele, la sua esposizione ha un profondo significato liturgico in questo tempo di Avvento. Cura dei dettagli, manierismo di stampo veneziano, colori vivaci e rasserenanti caratterizzano la pala. «La scena ci mostra l’arrivo dei Magi in quello che è un tempio pagano decadente, simbolo della fine di un’epoca e dell’inizio di una nuova, con Cristo omaggiato da tutti i popoli della terra – illustra l’opera monsignor Pignatelli -. Nella parte alta del dipinto appare una stella in metallo dorato, all’epoca non caratterizzata ancora come “stella cometa”. È presente un Giuseppe molto anziano, come da tradizione dell’epoca, e una Madonna dipinta in maniera stupenda dall’autore, con un manto blu rasserenante e di straordinaria bellezza. Il magio più anziano ha posato la sua corona per terra: mette il suo potere ai piedi di Gesù. Indossa finissimi gioielli in stile gotico, con il riferimento alla conchiglia simbolo del pellegrino». Un quadro ricco di suggestioni che torna ora a disposizione di tutta la comunità.

 

CASTROCARO TERME

Chiesa dei Santi Nicolò e Francesco

Castrocaro Terme, rinomata località di villeggiatura e importante centro termale a 10 km da Forlì sulla strada che congiunge Ravenna a Firenze. L'itinerario alla scoperta del pittore forlivese ci porta qui a visitare la Chiesa dei Santi Nicolò e Francesco: risalente al 1398 e radicalmente ristrutturata nel 1520, in origine apparteneva al Convento Francescano, poi nel 1783, a seguito dell’abolizione del Convento dei Frati Minori, passò nelle mani della Parrocchia.

L'interno si articola su tre navate e al centro dell’abside si trova La Beata Vergine coi Santi Agostino e Antonio da Padova, dipinta nel 1500 da Marco Palmezzano, che rappresenta la Beata Vergine in trono che allatta il bambino, fra i santi Agostino e Antonio da Padova. Il primo, vestito da vescovo con la mitra in testa, tiene un voluminoso libro nella mano sinistra e il bastone pastorale nella destra, il secondo indossa il saio francescano e reca in mano un libro rosso chiuso.

 

 

FORLI

Pinacoteca Comunale di Forlì

Le collezioni della Pinacoteca sono ripartite in due sezioni: la Sezione Antica e la Galleria d'Arte Moderna. La Sezione Antica presenta un'ampia panoramica d'arte e storia dall'età romana al secolo XVIII: mosaici, lapidi, sculture ed epigrafi romane ed altomedievali.

La parte più consistente e qualificata delle raccolte è costituita da dipinti e sculture che consentono di percorrere cinque secoli d'arte faentina e italiana. I fondi del '200 e '300 sono ridotti, ma di grande valore. Ben più ampio è il panorama offerto dalle opere del '400 e '500; oltre alle tavole tardogotiche, grande rilevo occupano gli artisti che hanno diffuso il Rinascimento a Faenza: Biagio d'Antonio, G. B. Bertucci il Vecchio, Marco Palmezzano, Donatello, A. Rossellino e il Maestro della Pala Bertoni.

L’itinerario prevede di visitare prima l’ala di destra, con le sale che espongono le opere più antiche della Pinacoteca, dal Trittico con Storie della Vergine e Santi del cosiddetto Maestro di Forlì,  al Corteo dei Magi del misterioso "Augustinus", all’affresco col Pestapepe, alle tavole del Beato Angelico e di Lorenzo di Credi, al monumento sepolcrale del Beato Marcolino di Antonio Rossellino, alla grande Crocefissione di Marco Palmezzano.

Il percorso prosegue nell’ala di sinistra, con le opere di Marco Palmezzano, Baldassarre Carrari, Nicolò Rondinelli, Francesco Zaganelli, la pittura del cinquecento romagnolo e di ambiti culturali limitrofi, fino al manierismo di Francesco Menzocchi, Livio Agresti e Livio Modigliani.

Imponente è la raccolta di pale d'altare del '500 e '600 "emigrate" dalle chiese di Faenza: documentano la vitalità della cultura artistica nell'ambito del manierismo che culmina in Ferraù Fenzoni, l'artista che fa da ponte verso il secolo barocco.

 

Sala 4

La quarta sala custodisce le opere di artisti attivi tra il XV e il XVI secolo.

La prima opera di rilievo è il celebre affresco del “Pestapepe”, realizzato tra il 1470 e il 1475, da un pittore ferrarese influenzato da Francesco del Cossa. L’affresco in origine si trovava tra diversi stemmi dei Riario e degli Sforza sopra il fondaco del Provveditore di Spezierie di Girolamo Riario in Forlì in Borgo Ravaldino, odierno Corso Diaz.

Infine, degno di nota, è il “Ritratto di giovane donna” (Dama dei gelsomini) di Lorenzo di Credi, che nel 1850 fu donato alla Pinacoteca di Forlì dal conte Carlo Cignani, discendente dell’omonimo pittore bolognese che visse e operò a Forlì. La figura femminile ritratta, secondo la tradizione locale, è identificata nella leggendaria Signora di Forlì, Caterina Sforza, benchè non vi siano fonti storiche o dati interni al dipinto a supporto di tale ipotesi.

 

Galleria 6

La galleria sei custodisce le opere di artisti attivi tra la fine del XV secolo e il XVI secolo. La prima opera di rilievo è l’affresco con il “Crocifisso, la Madonna e i santi Francesco, Chiara, Giovanni Evangelista e Maddalena” che fu eseguito da Marco Palmezzano sulla parete di fondo dell’abside della chiesa annessa al convento femminile di Santa Maria della Torre (o della Ripa) di Forlì intorno al 1492. L’opera è fondamentale per ricostruire le vicende artistiche del pittore, sia perché documenta i modi e le influenze della sua prima attività, sia perché rimane l’unica testimonianza del forlivese nel campo dell’affresco.

 

Sala 8

L’ottava sala custodisce le opere dell’artista forlivese Marco Palmezzano, «caro alievo» del Melozzo e maestro della visione prospettica.

Una delle sue opere più conosciute è “l’Annunciazione” del 1495-1497. Palmezzano realizza questo dipinto dopo il suo viaggio a Venezia, di cui rimane traccia nell’utilizzo di una stesura pittorica a olio, compatta e smaltata, nella presenza di un paesaggio sapientemente costruito e nell’utilizzo della prospettiva. Questa grande tavola fu realizzata da Marco Palmezzano per la Chiesa del Carmine e nel 1866 entra a far parte della collezione della Pinacoteca Civica di Forlì.

Un’altra opera da notare è la “Glorificazione di sant’Antonio Abate in trono fra i santi Giovanni Battista e Sebastiano” (Pala Ostoli), realizzata tra il 1496-97 come pala d’altare per la cappella di iuspatronato della famiglia Ostoli nella chiesa forlivese di Santa Maria del Carmine.

Infine un’altra importante opera di Palmezzano è “La Comunione degli Apostoli” dipinta nel 1506 per l’altare maggiore della Cattedrale di Forlì e inaugurata in occasione della venuta in questa città di Papa Giulio II (9-17 ottobre 1506). In questa opera colpiscono gli effetti illusionistici e la chiarezza ottica e prospettica raggiunti dall’artista.

 

Sala 9

Anche la nona sala, come quella precedente, custodisce le opere dell’artista forlivese Marco Palmezzano.

Di questa sala è importante ricordare “l’Annunciazione” piccola e la “Madonna con il Bambino in trono fra i santi Biagio e Valeriano con tre angeli musicanti”.

La prima opera è nota come “Annunciazione piccola”, perché è la seconda tavola in ordine di tempo (1523) che Marco Palmezzano dipinse a Forlì con questa iconografia, dopo quella grande della chiesa del Carmine, rispetto alla quale questa presenta dimensioni notevolmente inferiori. Il dipinto in origine fu realizzato per la chiesa di Santa Maria dei Servi (nota come chiesa di San Pellegrino) di Forlì e nel 1888 fu trasferita nelle Pinacoteca Civica.

Invece la “Madonna con il Bambino in trono fra i santi Biagio e Valeriano con tre angeli musicanti” in origine si trovava nella parrocchia di San Biagio, soppressa nel periodo napoleonico. In seguito la tavola è stata trasferita nella Cattedrale di Santa Croce e inserita nella cappella di San Valeriano nel 1821.

La tavola fu tolta dalla cappella di San Valeriano nel 1840 quando fu demolita in occasione del rifacimento totale della Cattedrale.

Il dipinto fu allora trasferito nel Palazzo Vescovile e, nel 1851, nella Pinacoteca Civica.

 

Sala 10

La decima sala custodisce opere di artisti attivi tra il XV e il XVI secolo.

La prima opera su cui soffermarsi è il “Ritratto di Marco Palmezzano” realizzato da un artista anonimo del XVI secolo. La tavola, che ritrae Marco Palmezzano a mezzo busto con in mano il pennello e la tavolozza, in origine era collocata sulla tomba di famiglia del pittore nella chiesa di San Giacomo Apostolo dei Domenicani di Forlì (e da lì ritirata nel 1781 dai discendenti dell’artista che la conservarono nella loro abitazione fino al 1854, quando venne ceduta al Comune di Forlì per 969 scudi romani).

Un’altra opera importante è “l’Incoronazione della Vergine e i Santi Benedetto, Mercuriale, Giovanni Gualberto e Bernardo Uberti” dell’artista forlivese Baldassarre Carrari, attivo dal 1489 al 1516. L’opera fu realizzata da Carrari nel 1512 e in origine si trovava sull’altare maggiore dell’Abbazia di San Mercuriale. In questo dipinto è interessante notare che San Mercuriale, primo vescovo di Forlì, è rappresentato nell’atto di reggere tra le mani un modellino di questa città, stretta tra le sue mura.

In questa sala è presente anche la “Madonna con il Bambino” dell’artista ravennate Nicolò Rondinelli, realizzata nel primo decennio del XVI secolo.

 

Sala 11

L’undicesima sala custodisce sempre opere di artisti attivi nel XV e XVI secolo.

La prima opera di rilievo è la “Concezione della Vergine” di Francesco Zaganelli. La tavola, datata e firmata in basso “1513 Franciscus Chotignolensis de Zaganelli”, era collocata in origine nella chiesa forlivese di San Girolamo (poi San Biagio in San Girolamo).

Sembra che il conte Pietro Guarini sia riuscito a farsi consegnare l’opera dello Zaganelli dai patroni dalla cappella per la raccolta forlivese.

Un’altra opera da notare è la “Sacra Famiglia con due angeli, un pastore e San Francesco” dell’artista bolognese Francesco Raibolini, detto il “Francia”. Il dipinto, che in origine si trovava nell’Oratorio della Compagnia di Gesù Cristo di Bologna, in seguito alle soppressione napoleoniche giunse all’Accademia di Bologna e nel 1804 fu ceduto alla Pinacoteca di Forlì.

Il Francia realizzò questo dipinto nell’ultimo periodo della sua carriera in collaborazione con la sua scuola.

Infine altre due opere da osservare sono la “Madonna con il Bambino e San Francesco” (1504-1505) dell’artista ferrarese Lorenzo Costa, che proviene dall’Orfanotrofio di Forlì e la “Madonna con il Bambino e San Francesco” realizzata da Bartolomeo Ramenghi detto “Bagnacavallo” nel secondo decennio del XVI secolo.

 

Galleria 20

Nella galleria venti sono conservate opere del tardo manierismo e del primo seicento emiliano e romagnolo.

Il “Ritratto di Cesare Hercolani” di Luca Longhi e il “Ritratto di Caterina Hercolani” di Pier Paolo Menzocchi. Questi due dipinti furono donati alla Pinacoteca comunale dal conte Fabrizio Hercolani nel 1846.

Cesare Hercolani, celebre Capitano forlivese, si rese particolarmente illustre, militando nell’armata di Carlo V, nella storica giornata di Pavia. Invece la ritrattata, di nobile famiglia forlivese, fu dama di corte di Caterina de’ Medici, Regina di Francia.

Nella parete in fondo alla galleria è esposta la grande tavola in cui sono raffigurate la “Madonna con il Bambino, Santa Caterina e Sant’Orsola con le Vergini” realizzata dal pittore ravennate Luca Longhi nel 1555. L'opera, pervenuta alla Pinacoteca tramite il lascito Piancastelli, in origine si trovava nella chiesa del Buon Gesù di Ravenna, nella cappella di giuspatronato della nobile famiglia ravennate Dal Corno.

 

Chiesa di San Biagio

Dal Museo Civico di San Domenico l’itinerario prosegue con una passeggiata tra i vicoli del centro storico, per poter ammirare (anche se solo dall'esterno) la Casa di proprietà del Palmezzano, posta all’angolo fra Corso Garibaldi e Via Albicini, per poi raggiungere piazza del Duomo.

Da Piazza del Duomo si risale quindi per Via Maroncelli e si prende Via Episcopio Vecchio per visitare la Chiesa di San Biagio, eretta nel dopoguerra sulle fondamenta dell'antica Chiesa di San Biagio in San Gerolamo, andata distrutta da un bombardamento il 10 dicembre del 1944. Al suo interno sono ancora conservate tre opere d'arte scampate alla distruzione: il Trittico di Marco Palmezzano, Madonna in Trono col Bambino e i Santi, l'Immacolata Concezione, tela che Guido Reni dipinse probabilmente nel 1627. 

Sono purtroppo andati perduti i celebri affreschi realizzati congiuntamente da Melozzo da Forlì e da Palmezzano nella cupola della Cappella Feo, commissionata dalla Signora di Forlì Caterina Sforza come cappella gentilizia per la famiglia dell'amato Giacomo Feo, ucciso nel 1495 e qui sepolto. 

 

Abbazia di San Mercuriale

La chiesa, in mattoni nel tipico color rosso forlivese, si presenta con la caratteristica facciata romanica "a capanna", suddivisa in tre parti corrispondenti alle tre navate interne, con la centrale più ampia rispetto alle laterali. La navata centrale è rafforzata da due contrafforti delimitanti la rientranza ad arco che ospita il rosone, la lunetta e il portale marmoreo. I fronti delle navate laterali sono entrambi occupati da un arco, resto delle antiche cappelle sporgenti. La facciata e il campanile presentano una decorazione in mattoni: archetti sorretti da colonnine sul prospetto, risalti verticali e cornicioni orizzontali sul campanile.

L'interno della chiesa ha pianta basilicale a 3 navate divise da pilastri e colonne in laterizio. Poiché il pavimento della navata centrale è sensibilmente inclinato in direzione dell'abside, la navata sembra molto più slanciata di quanto in realtà non sia. Originariamente, davanti all'abside, sorgeva, a circa 5 metri di altezza, il presbiterio, inclinato invece in direzione opposta.

La navata centrale è coperta da un soffitto a capriate, nei secoli più volte rimaneggiato e ricostruito, mentre il prolungamento dell'abside presenta una volta a botte. Nella navata destra è collocata l'acquasantiera che un tempo fungeva da fonte battesimale. Databile al XVI secolo, è costruita in pietra locale e presenta un basamento di forma esagonale.

Nel presbiterio si trovano alcune pale erratiche, tra cui l'Assunzione della Vergine (1632) di Rutilio Manetti, e il coro ligneo del XVI secolo, opera di Alessandro Begni da Bergamo.

Nella navata sinistra si trova un frammento di un affresco attribuito a Guglielmo degli Organi. Si accede inoltre alle cappelle del Santissimo Sacramento, decorata da numerose opere di spoglio, e alla cappella Ferri, con decorazione marmorea di Jacopo Bianchi (1536) e la Pala dell'Immacolata di Marco Palmezzano.

Degna di nota anche l'altra pala d’altare Madonna col bambino e i santi Giovanni Evangelista e Caterina d’Alessandria sempre del Palmezzano.

 

Duomo di Forlì

Lungo la navata sinistra, conservato nella Cappella di Sant'Anna, è possibile ammirare il San Rocco del Palmezzano

 

Chiesa di Sant'Antonio Abate in Ravaldino

L'incompiuta facciata presenta un andamento semicircolare che le dona un aspetto scenografico, quasi come se volesse abbracciare i fedeli. Il portale realizzato nel 1931 è stato disegnato dall'architetto Leonida Emilio Rosetti e dona vigore ed imponenza alla facciata dell'edificio.

All'interno, il corpo principale ha pianta ottagonale e due altari. La cappella maggiore, in cui è collocata una pala del forlivese Antonio Fanzaresi che raffigura la Morte di Sant'Anna, è molto profonda per dare spazio al coro dietro l'altare, ed è affiancata da altre due cappelle, il cui ingresso rimane isolato dal resto della chiesa. La cantoria, sopra il portone, ospita un organo di Alessio Verati, costruito nel 1858 e restaurato nel 2004. Apprezzabili, tra l'altro, uno splendido quadro di Marco Palmezzano, la Visitazione, e una Pietà di Livio Agresti.

Nella cappellina a destra dell'entrata è custodito il cinquecentesco Crocifisso dei condannati, così detto perché durante il periodo pontificio era usato nelle processioni che accompagnavano i condannati dalle carceri al patibolo. Retto dal religioso, detto "confortatore", che doveva badare alla salvezza dell'anima del morituro, il crocifisso precedeva questi verso il patibolo fino all'ultimo istante di vita; si può quindi sostenere che il crocifisso sia l'ultimo oggetto terreno che videro diverse decine di condannati.

 

Chiesa della SS. Trinità

La chiesa custodisce inoltre la tomba del grande pittore Melozzo degli Ambrosi, e conserva anche la testa del santo vescovo Mercuriale in un reliquiario.

 

Cimitero Monumentale di Forlì

Nel Pantheon del Cimitero Monumentale di Forlì, luogo di riposo dei grandi della città, riposano le spoglie di Piero Maroncelli, le ossa di Antonio Fratti, le salme di Fulcieri Paulucci di Calboli, di Angelo Masini e ciò che resta di Marco Palmezzano.
 

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Casadio, Claudio; “Guida. 100 opere della Pinacoteca. Dal Medioevo al XX secolo”; Emil Edizioni; Faenza; 2016.

  • Cellini, Marina; “Pinacoteca Comunale”; Comune di Cesena Sezione museale; Cesena.

  • Cellini, Marina; “Cesena. Pinacoteca Comunale. Dipinti dal XV al XIX secolo”; Comune di Cesena Sezione museale; Cesena; 1999.

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  • Fabbri, Alberta; Pagine del MAR n° 01. Luca Longhi; Museo d’Arte della città di Ravenna; 2007.

  • Gualdrini, Giorgio; Museo Arte Sacra Città. Il Museo Diocesano nel Palazzo Episcopale di Faenza - Modigliana; Edit Faenza; Faenza; 2012.

  • Pasini, Pier Giorgio; “Rimini Museo della Città. Guida catalogo della Sezione medievale e moderna”; La Pieve Poligrafica Editore Villa Verucchio; 2013.

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  • https://www.pinacotecafaenza.it/sezione/il-rinascimento-faentino/

  • https://www.museionline.info/pittori/marco-palmezzano

  • http://www.cultura.comune.forli.fc.it/servizi/menu/dinamica.aspx?idArea=17262&idCat=17266&ID=17316

  • http://www.queen.it/citta/forli/monum/musei/galleria.htm

https://www.scopriforli.it/servizi/turismo_cultura/collezioni_fase02.aspx?ID=74


 


[1] https://www.fondazionecarispcesena.it/info 

Ultimo aggiornamento 11/09/2024
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