I Maestri del Rinascimento in Romagna - I luoghi (II parte)

FORLIMPOPOLI

Chiesa di Santa Maria dei Servi

La Chiesa di Santa Maria dei Servi fu realizzata nella seconda metà del XV secolo dai Padri dell’Ordine dei Servi di Maria e dotata nel tempo di un ricco apparato decorativo finché, in seguito alle soppressioni napoleoniche, fu definitivamente abbandonata nel 1797. L’interno sorprende ancora oggi per la ricchezza dei suoi apparati decorativi: lungo le pareti si aprono sei altari ornati di stucchi e opere d’arte di pregio, fra cui spicca la presenza dell’altare dell'Annunciazione con l'omonima pala dipinta a tempera su tavola lignea, realizzata da Palmezzano nel 1533. Questa Annunciazione si differenzia nello stile, che appare qui semplice e privo di elementi decorativi, rispetto alle due versioni precedenti del medesimo soggetto conservate presso il Museo Civico di San Domenico.

 

Basilica di San Rufillo

All'interno della Collegiata di San Ruffillo a Forlimpopoli si trovano due dipinti appartenenti alla fase giovanile del pittore ravennate Luca Longhi (1507-1580), si tratta di due dipinti d'altare, eseguiti su tela, la Madonna in trono col Bambino e i santi Ruffillo e Antonio da Padova per l'altare Maggiore e la Madonna in Trono col Bambino e i santi Valeriano e Lucia per la seconda cappella a destra, di fianco all'altare. Le due opere fanno parte di una stessa commissione poiché sono state richieste al giovane artista da Antonello Zampeschi, signore di Forlimpopoli, entrambe appartengono alla tipologia della sacra conversazione, dove la Madonna in trono col Bambino è circondata da santi e presentano lo stesso tipo di composizione e le stesse dimensioni di cm. 230x180. Si tratta infatti di due quadri collegati tra loro e che racchiudono anche l'intento di celebrare la famiglia Zampeschi.

La Madonna col Bambino e i santi Valeriano e Lucia firmata dall'autore sul gradino in basso a sinistra con la data 2 maggio 1528 è il primo dei due quadri eseguiti per lo Zampeschi.

Al centro, seduta su un trono posto su un basamento di marmo e con ai piedi un tappeto, la Madonna è rappresentata con il Bambino sulle ginocchia, fiancheggiata da sav Valeriano a sinistra e Santa Lucia a destra.

In primo piano e in scala ridotta rispetto alle figure sacre è rappresentato Brunoro I Zampeschi, padre del committente, morto nel 1525. Brunoro I è rappresentato inginocchiato in preghiera per ricordare che voleva donare alla chiesa l'altare di santa Lucia, costruito poi dal figlio dopo la sua morte. Sullo sfondo, dietro ai personaggi, si scorgono alcuni brani di paesaggio.

Il dipinto, prima opera nota del pittore, eseguita all'età di 21 anni, mostra com l'artista, con una tecnica già pienamente padroneggiata, abbia fissato uno schema compositivo preciso insieme ad alcuni elementi stilistici fondamentali che verranno da lui ripresi e sviluppati all'attività successiva.

Questo primo lavoro del giovane Longhi è quindi indicativo degli ottimi risultati iniziali della sua carriera artistica. E' subito già evidente l'inclinazione sentimentale e alcuni aspetti un po' ingenui caratteristici di una fase giovanile, ma è evidente anche la strutturazione già impostata secondo un certo equilibrio compositivo.

Nell'abside della chiesa, dietro all'altare Maggiore si trova la Madonna in trono col Bambino e i santi Ruffillo e Antonio da Padova, realizzata due anni dopo all'all'altro dipinto, come attesta la data 15 aprile 1530 indicata in un cartellino in basso a sinistra, vicino alla firma del Longhi.

Anche in questo caso viene proposto uno schema compositivo triangolare con al centro la Madonna affiancata dai due santi: Ruffillo a sinistra e Antonio da Padova a destra. Il trono sorge su un alto basamento ricoperto da un tappeto e contenuto in un'edicola con un'abside semicircolare.La struttura architettonica presenta una decorazione policroma a grottesche su sfondo dorato. La Madonna sostiene il Bambino rappresentato in piedi in atto benedicente e con lo sguardo rivolto allo spettatore.

In primo piano e di dimensioni più piccole è effigiato il committente dell'opera Antonello Zampeschi, nella stessa posizione di Brunoro I che compare nell'altro dipinto. Il signore della città è raffigurato in armatura, con l'elmo appoggiato a terra. L'identificazione del personaggio è confermata anche dallo stemma che compare in basso sull'orlo del dipinto: le due spade d'argento incrociate su campo azzurro con la stella d'oro è infatti l'emblema degli Zampeschi.

Oltre alla vicinanza stilistica con la vicina pala con santa Lucia, si colgono riferimenti molto forti anche con lo Sposalizio mistico di Santa Caterina realizzato dal Longhi nel 1529 e ora conservato nella Pinacoteca di Ravenna. Sono infatti presenti le stesse componenti sceniche e compositive e una simile esecuzione tecnica. Secondo lo studioso Piraccini, rispetto all'opera ravennate, però nella pala con san Ruffillo si presenta già un momento di evoluzione poiché appare più forte la vicinanza alle opere romagnole di Francesco Francia e Marco Palmezzano. 

 

Chiesa dell’Immacolata Concezione detta del Carmine e Rocca Albornoziana

Al figlio Francesco Longhi sono invece attribuiti una pala d’altare della seicentesca Chiesa del Carmine, in via Saffi, e gli affreschi della cappella palatina al piano nobile della Rocca Ordelaffa (Rocca Albornoziana).

Edificata nel 1626 la Chiesa del Carmine ha assunto le attuali forme neoclassiche nel primo Ottocento, mentre alla seconda parte del secolo appartiene il ricco apparato decorativo a fresco del presbiterio, con raffigurazioni di Angeli, San Pietro e San Paolo, Fede e Speranza - e nella volta - l’Assunzione della Vergine e i Santi Simone Stock e Teresa d’Avila, realizzato dal forlimpopolese Paolo Bachetti.

Sulla parete di sinistra si conserva la pala dei primi del Seicento di Francesco Longhi raffigurante l’Immacolata Concezione.

Al primo piano dell’ala orientale della Rocca, riservato oggi alla Sala Consigliare del Municipio, si trova invece la cappella palatina, edificata nel XVI secolo e dedicata all'Eucarestia, i cui decori raffigurano Il pane degli Angeli (nella volta), La caduta della manna (sulla parete di destra) e Il profeta Elia (sulla parete di sinistra). Anche qui l’opera di Francesco Longhi dialoga con quella di Paolo Bachetti, di cui si conserva nella sala consigliare il grande sipario del Teatro Comunale raffigurante la distruzione di Forlimpopoli da parte del cardinal legato Egidio d’Albornoz.

 

CESENA

Pinacoteca Comunale (aperta su richiesta)

Si fronteggiano lungo i lati della sala due opere di Antonio Aleotti di Argenta (doc. dal 1495 al 1527); a destra osserviamo la Madonna in trono tra i santi Antonio Abate e l'Arcangelo Michele, che porta in basso la firma e la data 1510; l'opera, commissionata dai priori dell'Ospedale di Sant'Antonio di Cesena, in seguito alla soppressione della chiesa, è stata trasferita e dimenticata nei magazzini della locale Congregazione di Carità. La tavola venne usata impropriamente come copertura di una fossa da grano e questo rende conto delle attuali condizioni di conservazione. Si tratta senza dubbio di uno dei dipinti più conosciuti dell' Aleotti, in questa occasione pittore fedele ai modi di Marco Palmezzano nello schema compositivo, nel rapporto tra figure, ambiente e architetture. e nell' utilizzo dell' ornato a grottesche. L'artista si rivela spiritoso e arguto nel delineare con toni quasi caricaturali le figure dei due demoni che compaiono in basso, specie in quello che si affianca a sant' Antonio Abate; la predilezione per queste note che si spingono all' irrazionale e al grottesco sono il sintomo dell'avvenuto contatto con altri personaggi di spicco dell'ambiente romagnolo (gli Zaganelli), ma anche bolognese (Aspertini) e ferrarese (Mazzolino).

Sulla parete a sinistra si incontra la seconda opera di recente proposta alla mano del pittore di Argenta: sono tre santi (san Rocco, san Sebastiano, san Cristoforo) dipinti su altrettanti pannelli lignei resecati lungo i lati; è probabile una loro provenienza dall'altare di San Sebastiano nella chiesa cesenate di Sant'Agostino e una esecuzione da differire in due tempi distinti tra il 1495 (san Rocco e san Cristoforo) ed il 1503 (san Sebastiano). Si potrebbero così spiegare i mutamenti stilistici presenti nel trittico: alla caratterizzazione decisa dei volti di Rocco e di Cristoforo si contrappone il tratto più composto e classicheggiante della figura di Sebastiano, il cui motivo anticipa quello del san Michele Arcangelo in atto di sottomettere il demonio della più tarda pala dell'Aleotti che gli è posta a fronte.

Due ritratti, di piccole dimensioni, documentano il genere specifico sul volgere del XVI secolo, genere che a giudicare dalle testimonianze conservate nella raccolta comunale è destinato a conoscere una più sicura e ampia diffusione soltanto nel '700.

Il secondo ritratto è quello di Niccolò Masini (Cesena, 1454-1505) fissato nella classica posa di tre quarti; l'uomo indossa una veste nera con un bavero bianco dalle lunghe punte orlate a giorno. Si tratta del medico cesenate Niccolò Masini, come chiarisce l'iscrizione aggiunta in un momento successivo per non smarrire l'identità dell'effigiato, che era stato archiatra di Cesare Borgia. Il Masini, valentissimo nella sua professione, aveva goduto della stima dei contemporanei, dei potenti ed anche dei letterati ed era stato, a sua volta, appassionato collezionista. La tela, fortemente impoverita nella materia pittorica, è tradizionalmente riferita a Francesco Longhi (Ravenna, 1554-1618), educato alla pittura dal ben più famoso padre Luca; stilisticamente il dipinto conviene ai modi del Longhi junior degli anni ottanta; l'artista dunque si cimenta in un ritratto postumo, probabilmente basato su un altro testo pittorico.

 

Galleria dei dipinti antichi (Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena)[1]:

Per quanto i primi dipinti siano stati acquisiti alla fine degli anni Cinquanta, la Galleria dei dipinti antichi di Crédit Agricole Italia e della Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena è frutto di un collezionismo giovane, sorto negli ultimi trent'anni. Alcune linee guida l'hanno ispirata. In primo luogo il progetto di dare vita ad una collezione di pittura antica che illustri momenti significativi della tradizione artistica in Emilia e in Romagna, dal Quattrocento al Settecento; inoltre l'intenzione di recuperare opere importanti, che antiche e moderne vicende dispersive avevano allontanato dai luoghi di produzione; infine l'istituzione di un autentico museo pubblico, di libero accesso a tutte le persone interessate. 

Dal 1991 è infatti aperto al pubblico un percorso museale al primo piano del palazzo storico dell'ex Cassa di Risparmio di Cesena, che esibisce oltre settanta opere, che dal Rinascimento romagnolo, rappresentato dalle tavole di Marco Palmezzano, giungono al barocchetto bolognese esemplificato dalla leggerezza di tocco di Nicola Bertuzzi, passando attraverso l'età raffaellesca dei Bagnacavallo, di Girolamo Marchesi da Cotignola e Luca Longhi, il manierismo emiliano di Prospero Fontana, della figlia Lavinia e di Bastianino, il Seicento di Lionello Spada, Lanfranco, Guercino e Cagnacci fino all'età barocca di Canuti, Viani, Creti e Crespi. Altri dipinti documentano le relazioni della pittura emiliana con altre aree geografiche, quali la Toscana e il Veneto.

 

SANTARCANGELO DI ROMAGNA

MUSAS Museo Storico Archeologico

Nelle cinque sale del piano nobile di Palazzo Cenci sono raccolte opere storiche e artistiche del Medioevo e dei secoli successivi, fino all’Ottocento, provenienti da Santarcangelo e dal suo territorio.

Fra esse non mancano i grandi capolavori (come il polittico trecentesco di Jacobello di Bonomo), opere di rara piacevolezza (come la tavola cinquecentesca di Luca Longhi), dipinti e oggetti di interesse locale: testimonianze ormai “senza casa”, qui accolte e riunite per sottrarle alla dispersione e per dare loro la possibilità di continuare a testimoniare di sé e della storia e del gusto collettivi lungo molti secoli.

 

RIMINI

Museo della Città “Luigi Tonini”. Sezione medievale e moderna:

Ospitato nel settecentesco Collegio dei Gesuiti e intitolato dal 2015 allo storico riminse Luigi Tonini, il Museo racchiude memorie civiche provenienti da scavi, chiese ed edifici cittadini e importanti opere in deposito. Qui si snoda il racconto del cammino dell’uomo nel territorio riminese dalla preistoria all'età contemporanea.

In Pinacoteca sono esposti i capolavori della "Scuola Riminese", una delle più importanti realtà del Trecento, ispirata alla lezione di Giotto mentre, del periodo aureo della signoria dei Malatesta, le tavole di artisti di grandissimo rilievo come Giovanni Bellini, Domenico Ghirlandaio, Agostino di Duccio, Pisanello e Matteo de' Pasti.

Il Seicento è rappresentato da straordinari dipinti, opera di maestri di rilevanza internazionale, dall’esuberante Guido Cagnacci al più meditativo Centino, al Guercino, pittore di grande sensibilità cromatica e Simone Cantarini.

 

Corridoio dell’Ultima Cena

Bartolomeo Coda (1490-1565 ca.), L'ultima cena. Affresco staccato e relativa sinopia.

Si trovava nella parete di fondo del "refettorio nuovo" del Convento di San Francesco di Rimini (di fianco a Tempio Malatestiano). Era stato dipinto su una Crocifissione del 1515 di cui rimangono pochi resti, visibili in una fotografia anteriore alla guerra, quando il refettorio era adibito a "Museo Medioevale". Durante il distacco dell'affresco (1967) è comparsa la sua sinopia, che è stata recuperata ed è qui esposta di fronte all'affresco. Si tratta dell'abbozzo tracciato dal pittore su un primo intonaco grossolano, per poter eseguire correttamente l'affresco: questo veniva dipinto come è noto su un sottile strato di intonaco fresco disteso di volta in volta solo sulla porzione di superficie che poteva essere dipinta durante la giornata. E' interessante notare le numerose varianti subite dalla raffigurazione nel passaggio dall'abbozzo alla realizzazione definitiva. L'autore dell'affresco è probabilmente Bartolomeo Coda, attivo a Rimini prima al seguito del padre Benedetto (+1535), poi con i fratelli.

Rispecchia bene i caratteri del manierismo provinciale assai diffuso fra Romagna e Marche intorno alla metà del Cinquecento, influenzato dalla pittura veneta e da quella bolognese.

 

Tavole del Rinascimento

In massima parte le tavole esposte in questa sala sono di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini che le ha acquistate sul mercato antiquario fra il 1980 e il 1993. Il loro deposito nel Museo permette di documentare l'attività di alcuni rari pittori riminesi e romagnoli del Rinascimento: Giovan Francesco e Lattanzio da Rimini, rispettivamente di formazione padovana e veneziana, Francesco Zaganelli e Girolamo Marchesi, entrambi da Cotignola. Da notare nei dipinti di questi ultimi le forti influenze nordiche, dovute alla presenza in tutto il territorio romagnolo, ed anche a Rimini, di opere tedesche importate tramite Venezia, A Rimini fra l'altro esisteva un dossale di Jan Baegert, di cui sono esposti due frammenti superstiti nella sala successiva.

Girolamo Marchesi da Cotignola (1480-dopo il 1531), Santo Vescovo Olio su tavola.

Francesco Zaganelli (ca. 1475-1532), La Veronica

Dipinti del Cinquecento

Nella prima metà del Cinquecento la città di Rimini, ritornata sotto il diretto governo della Chiesa, importa opere d'arte soprattutto dalle regioni settentrionali, cioè dal Veneto e dai paesi transalpini. Comunque le opere più frequenti sono dovute a modesti artisti romagnoli che lavorano accanto ai Coda, pittori di origine veneta, ma divenuti riminesi dalla fine del Quattrocento. Solo dalla metà del XVI secolo vi compaiono manieristi famosi di educazione tosco-romana, come il Vasari, gli Zuccari e Marco Marchetti (quest'ultimo è presente nel Museo con alcune opere), e grandi pittori veneti, come il Veronese e il Tintoretto junior.

 

RAVENNA

Basilica Santuario di Santa Maria in Porto

La basilica

La costruzione della Basilica, iniziata nel 1553 su progetto di Bernardino Tavella, è dovuta all'iniziativa del Canonici Lateranensi, che, non potendosi allargare vicino alla vecchia chiesa di Santa Maria in Porto Fuori, a causa del rifiuto da parte della Repubblica di Venezia, dominante su Ravenna, già alcuni anni prima, 5 agosto 1496, avevano acquistato un gruppo di case in città per costruire il loro nuovo Monastero. Papa Giulio II, di passaggio a Ravenna nel 1511, favorisce la costruzione concedendo particolari indulgenze a chi vi contribuisse.

La Domenica in Albis del 1570 viene traslata all'interno della chiesa ancora in costruzione l'immagine della Madonna Greca e l'8 ottobre 1606 il cardinale Pietro Aldobrandini, arcivescovo di Ravenna, consacra la basilica.

La pianta a croce latina è divisa in tre navate. Le estremità del transetto terminano con cappelle absidate e tondeggianti, dedicate alla Madonna Greca quella di sinistra e a San Lorenzo quella di destra. Le volte della navata centrale sono a vela quadrata con al centro un rosone mentre quelle laterali sono rettangolari a crociera leggermente cordonate.

 

Navata sinistra

Gli altari delle cappelle laterali, sei per parte, sono costruiti tutti secondo lo stesso stile: altare con paliotto policromo sovrastato, nella maggior parte dei casi, da una tela di scuola ravennate incorniciate da brecce e marmi, specialmente dall'africano.

Qui troviamo il Martirio di S. Marco di Jacopo Negretti detto Palma il giovane (sec. XVI - XVII).

Sulla parete sinistra dell'abside la pala raffigurante Scene della Passione di Cristo di Pietro da Bagnara (sec. XVI).

 

Navata di destra

Nella navata destra, troviamo gli altari: Madonna Assunta e santi di Francesco Longhi (sec. XVI - XVII); Martirio di Santa Margherita d'Antiochia di Cesare Corte (sec. XVI); Martirio di San Giacomo Maggiore dello Scarsellino (sec. XVI- XVII).

 

Sagrestia

Ampia aula rettangolare; da ammirare sul fondo l'ancona che rappresenta una Madonna in trono con il Figlio tra i Santi Benedetto, Giorgio, Apollinare e Barbara, attribuita a Barbara Longhi (sec. XVI) e proveniente dalla chiesa di Santa Barbara; alle pareti i nove dipinti degli Apostoli, di scuola romagnola, e una Natività del XVII secolo.

 

Museo d’Arte della città di Ravenna MAR

Il primo nucleo della pinacoteca civica si forma nel 1829, con l'acquisizione delle opere provenienti dalle soppresse corporazioni religiose, che costituiranno la Galleria dell'Accademia. Nel corso del secolo la raccolta si arricchisce grazie al contributo dei cittadini che concorrono ad incrementare il patrimonio pubblico con lasciti e depositi, in un effervescente clima di competizione civica per dar lustro alla pubblica collezione. La Galleria, riordinata da Corrado Ricci, comprende più di 300 opere, tra dipinti e sculture, riferibili ad un arco cronologico che va dal XIV al XIX secolo. Un'ampia rassegna di tavole di piccolo formato del XIV e del XV secolo, destinate perlopiù alle celle monastiche, testimoniano le relazioni della Città con i più importanti centri di produzione, dagli ambienti veneti e padovani, all'ambiente emiliano, più precisamente bolognese e ferrarese, sino a quello toscano e marchigiano. Di questo periodo si conservano piccole tavole dalla carpenteria mistilinea e polittici di dimensioni ridotte ascrivibili al Maestro del Coro Scrovegni, Guglielmo Veneziano, Matteo di Giovanni, Lorenzo Monaco, Taddeo di Bartolo, Antonio Vivarini.

Di grande rilevanza, per la conoscenza delle vicende artistiche che si svilupparono in Romagna nell'età di transizione tra le corti signorili e la dominazione pontificia, è il nucleo significativo di opere che si collocano tra la fine del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento: a questo nucleo appartengono i dipinti di Baldassarre Carrari, Marco Palmezzano, Nicolò Rondinelli, Francesco e Bernardino Zaganelli, insieme ai protagonisti della stagione del raffaellismo in Romagna, Bartolomeo Ramenghi detto il Bagnacavallo, Girolamo Marchesi da Cotignola, Luca Longhi con i figli Francesco e Barbara Longhi.

Dello stesso periodo si conservano opere che documentano i mai esauriti rapporti col Veneto, anche in età protratte oltre la dominazione veneziana. Tra gli autori si possono citare: Bartolomeo Montagna, Marco Bello, Luca Antonio Busati, Cima da Conegliano, Pietro degli Ingannati, Francesco Rizzo da Santacroce e il suo ambito, Paris Bordon. 

Di grande rilievo per il patrimonio della Città è il monumento funebre di Guidarello Guidarelli, realizzato da Tullio Lombardo nel 1525, e reso celebre soprattutto dalla letteratura dannunziana che ne ha fatto una leggenda.

Una pagina fondamentale per lo sviluppo del linguaggio artistico in Romagna nell'Età della Maniera è il dipinto realizzato da Giorgio Vasari nel 1548, Compianto su Cristo deposto dalla Croce, su commissione del Monastero di Classe. Un archetipo iconografico che ha avuto larga fortuna. I rapporti con gli ambienti ferraresi sono documentati da pregevoli opere del Bastianino e del Bastarolo. Alla tarda Età della Controriforma si riferiscono le opere di Jacopo Ligozzi, Camillo Procaccini, Matteo Ingoli.

Le grandi pitture di Francesco Zaganelli, Adorazione dei pastori con i Santi Girolamo e Bonaventura e Crocifissione con i Santi Antonio Abate e Francesco, il Cristo Redentore di Paris Bordon, il Martirio dei quattro Santi Coronati di Jacopo Ligozzi, la pala d’altare di Guercino.

Una nuova stagione delle arti si inaugura sotto la dominazione veneziana (1441- 1509) e con l'arrivo della Pala Portuense di Ercole de' Roberti, nel 1481. Un gran passo è compiuto verso l'italianizzazione dello stile».

Il primo a educarsi a Venezia, sul magistero di Giovanni Bellini, fu Nicolò Rondinelli che, di rientro in città, innesta gli effetti della scuola lagunare nella cultura locale su cui agivano i fermenti prospettici di Melozzo e Palmezzano, da un lato, e dall'altro, il protoclassicismo dei Francia e di Lorenzo Costa dalla vicina Bologna.

La pittura tonale fu un magnete anche per il forlivese Baldassarre Carrari, di formazione melozzesca ma, dal suo trasferimento a Ravenna nel 1502, sempre più orientato verso le asprezze ferraresi mitigate dalla lezione di Rondinelli.

Lo segue Francesco Zaganelli da Cotignola, a Ravenna dal 1513. II temperamento indipendente, l'attrazione per le bizzarrie nordiche e l'insofferenza verso i modelli imperanti del classicismo centro-italiano ne fanno una personalità eccentrica destinata a ingrossare le fila degli irregolari che sul finire del terzo decennio alimentano il furore eccitato della Maniera.

Con Luca Longhi si stabilisce un dialogo serrato con il classicismo del Francia fino a quando l'incontro con Vasari (1548) segnerà il passo verso un linguaggio riformato con gli apporti di modelli emiliani e centro-italiani. Ora si guarda a Roma, la nuova capitale.

 

Altri artisti presenti al MAR di Ravenna:

  1. Giovanni da Bologna (il Trecento)

  2. Maestro di San Pier Damiano

  3. Marco Palmezzano: La Presentazione al Tempio; La Natività; Ritratto

  4. Biagio d’Antonio: Madonna con il Bambino, san Giovanni e due cherubini

  5. Nicolò Rondinelli: Madonna con Bambino; Madonna con il Bambino in trono tra i Santi Girolamo e Caterina d’Alessandria; Sant’Alberto; Madonna con il Bambino; San Sebastiano; Madonna con il Bambino in trono e angeli tra i santi Tommaso d’Aquino, Maddalena, Caterina d’Alessandria e Giovanni Battista; 

  6. Il Bagnacavallo

  7. Francesco Zaganelli: Testa d’Angelo; La Madonna e San Francesco che adorano il bambino Gesù; Santa Caterina; San Sebastiano; La Crocifissione con i santi Antonio Abate e Francesco; Adorazione dei pastori con i santi Girolamo e Bonaventura

  8. Luca Longhi, Francesco e Barbara Longhi (bottega dei Longhi)

  9. Baldassarre Carrari: Deposizione di Cristo nel sepolcro; La Discesa al Limbo; La cattura di Cristo; Deposizione di Cristo dalla croce; Madonna con il Bambino in trono fra San Sebastiano e una Santa martire.

 

Chiesa di San Domenico

Luca Longhi fu sotterrato nel chiostro di s. Domenico, appresso la sagrestia, con iscrizione latina, che oggi è dentro la chiesa, nella parte destra di chi entra per la porta maggiore.

 

GRANAROLO

Chiesa Parrocchiale

In località di Granarolo, già castello manfrediano con Chiesa Parrocchiale di gusto neomedievale del 1899 che contiene un interessante gruppo di dipinti dal XVI al XVIII secolo. Tra questi un dipinto con l'incoronazione della Vergine e Santi, opera nell'ambito degli Zaganelli, secolo XVI.

 

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Casadio, Claudio; “Guida. 100 opere della Pinacoteca. Dal Medioevo al XX secolo”; Emil Edizioni; Faenza; 2016.

  • Cellini, Marina; “Pinacoteca Comunale”; Comune di Cesena Sezione museale; Cesena.

  • Cellini, Marina; “Cesena. Pinacoteca Comunale. Dipinti dal XV al XIX secolo”; Comune di Cesena Sezione museale; Cesena; 1999.

  • Casadio, Claudio; “Guida. 100 opere della Pinacoteca. Dal Medioevo al XX secolo”; Emil Edizioni; Faenza; 2016.

  • Dall’Acqua, Marzio; “Quella dolce terra latina. Signorie di Romagna.” in Ducati di Emilia. Signorie di Romagna; Touring Editore; Milano; 2001.

  • Fabbri, Alberta; Pagine del MAR n° 01. Luca Longhi; Museo d’Arte della città di Ravenna; 2007.

  • Gualdrini, Giorgio; Museo Arte Sacra Città. Il Museo Diocesano nel Palazzo Episcopale di Faenza - Modigliana; Edit Faenza; Faenza; 2012.

  • Pasini, Pier Giorgio; “Rimini Museo della Città. Guida catalogo della Sezione medievale e moderna”; La Pieve Poligrafica Editore Villa Verucchio; 2013.

  • Volpe, Carlo; “Pittura a Rimini. Tra gotico e manierismo”; Comune di Rimini, Museo Civico; Rimini; 1979.

  • https://www.pinacotecafaenza.it/sezione/il-rinascimento-faentino/

  • https://www.museionline.info/pittori/marco-palmezzano

  • http://www.cultura.comune.forli.fc.it/servizi/menu/dinamica.aspx?idArea=17262&idCat=17266&ID=17316

  • http://www.queen.it/citta/forli/monum/musei/galleria.htm

https://www.scopriforli.it/servizi/turismo_cultura/collezioni_fase02.aspx?ID=74


 


[1] https://www.fondazionecarispcesena.it/info 

Ultimo aggiornamento 11/09/2024
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