PREMILCUORE
Le origini di Premilcuore sono misteriose, anche se esistono diverse versioni e leggende a proposito della sua fondazione.
Storicamente sono state trovate tracce di età eneolitica, umbro-etrusca e tardo romana.
Nel 1424 il paese fu sfiorato dall’effimera avanzata dei Visconti di Milano e nel 1494-96 fu sotto il controllo di Caterina Sforza la quale si apprestava a difendersi dall'attacco di Cesare Borgia. A causa del tradimento del castellano tornò definitivamente a Firenze. Si alternarono nel corso dei secoli diverse fasi politiche fino ad arrivare ai primi del '900, quando il paese passò dalla Toscana alla Provincia di Forlì.
Ad oggi il borgo murato, al quale si accedeva solo dalle due porte (Porta di Sotto a Nord, demolita in passato, e Porta Fiorentina a Sud, tuttora esistente ma ritoccata), conserva quasi intatto il nucleo medievale, dominato dai resti dell'antica Rocca.
La pieve di San Martino in Alpe, fuori dal borgo, è tutt'oggi la chiesa più importante. Di origine medievale, ma risalente nelle forme attuali al 1526, custodisce una croce di ambito toscano del Quattrocento, pale dei secoli XVII e XVIII, tra le quali la Madonna del Carmine di Jacopo Vignali, e notevoli paramenti sacri. L’interno della chiesa ha una spazialità tipica del rinascimento toscano, è basilicale a tre navate e sette campate su otto colonne e quattro pilastri quadrati.
PORTICO E SAN BENEDETTO
Il nome dell'abitato principale deriva dal latino porticum, cioè luogo di mercato. La storia di Portico in epoca medievale è legata alle vicende delle famiglie dominanti: i conti Guidi, Visconti di Milano e quelle della repubblica fiorentina in lotta per il dominio dell'Italia centro-settentrionale.
Nel 1386 fu definitivo il passaggio a Firenze, diventando poi la capitale della Romagna Toscana. La struttura urbanistica medievale del borgo fu suddivisa su tre piani sovrastanti distinti ma uniti da passaggi, che si conservano ancor oggi in buono stato. La parte alta era costituita dal castello, del quale non rimane altro che una torre (Torre Portinari), dalla pieve e dal palazzo del podestà. Nel piano intermedio erano localizzati i portici e i palazzi nobiliari, tra cui il palazzo Portinari. Presso palazzo Traversari nacque invece Ambrogio Traversari, importante figura della cultura umanistica del quattrocento fiorentino. Il piano inferiore invece si articolava lungo il fiume, dove erano situate le case di popolani e artigiani ricavate nella cinta muraria. Ai quattro punti cardinali del paese altrettante torri fungevano da vedette al castello. Esse finirono col divenire poi ripostigli per gli attrezzi da lavoro o rondinaie.
La storia di San Benedetto in Alpe è collegata a quella dell'omonima abbazia, costruita intorno all'anno 1000 dai monaci benedettini di Cluny. Le prime case sorgono intorno all'abbazia e prendono il nome di Biforco, poiché poste vicino all'incrocio dei torrenti Acquacheta, Rio Destro e Troncalosso. Più a valle si aggiunsero i mulini ed un ospizio per accogliere i viandanti. A monte vennero realizzati un pecorile ed un caprile, di proprietà del monastero, ed un vignale. La metà del XIV secolo segna l'inizio della decadenza del monastero. Nel 1499 Papa Alessandro VI abolisce l'ordine benedettino nell'abbazia e vi introduce l'ordine di Vallombrosa, che rimarrà fino al 1529, quando venne annessa al collegio di San Lorenzo in Firenze. Col secondo declino dell'abbazia di San Benedetto l'abitato divenne comune indipendente e si avviò un notevole sviluppo artigianale. Dal 1440 la Signoria di Firenze ne acquistò la giurisdizione, prima con i Medici, poi coi Lorena. L'incuria del tempo causano intanto il crollo dell'abside e di parte della cappella sinistra. I lavori di restauro non la ricostruirono secondo le precedenti linee architettoniche ma la spostarono sulla destra, demolendo parte del chiostro.
ROCCA SAN CASCIANO
Castello di Rocca San Casciano
Il primo documento che cita Rocca risale al 1197 "Rocca Sancti Cassiani in Casatico" il che fa ritenere che all'epoca esistesse un castello. Nel 1230 il vescovo di Forlimpopoli raccomanda alcuni castelli di sua giurisdizione, tra i quali anche la rocca di San Casciano, al comune di Faenza. Nel 1382 Francesco de' Calboli lascia il castello di Rocca San Casciano in eredità a Firenze. Nel 1412 si dota di propri statuti, nel 1424 viene conquistata dai Visconti che la affidano nel 1435 agli Ordelaffi. Riconquistata dai fiorentini nel 1436, nei secoli successivi Rocca San Casciano continuò a far parte dei domini di Firenze. Nel 1504 Dionigi Naldi occupa il castello di Rocca San Casciano per conto del governo di Venezia che ne fa smantellare la rocca. Nel 1661 il castello di Rocca San Casciano viene gravemente rovinato da un terremoto e successivamente venne in parte recuperato come abitazione rurale.
DOVADOLA
Rocca dei Conti Guidi
La Rocca dei Conti Guidi, risalente al XII secolo, è sopravvissuta al tempo e alle avversità nei secoli. Il mastio si erge imponente su uno sperone montuoso posto a controllo della strada che unisce la Romagna con la Toscana. In origine di proprietà degli arcivescovi di Ravenna, passò poi in mano agli Abati di San Mercuriale di Forlì, ai Monaci di San benedetto in Alpe e infine ai Conti Guidi. Le strutture fortificatorie della Rocca sono rivolte verso nord-est, cioè contro la Romagna mentre le due terrazze incluse nel perimetro fortificato si rivolgono verso la Toscana.
MODIGLIANA
Rocca dei Conti Guidi
L'8 settembre 896 la contessa Ingelrada dona il paese di Modigliana al figlio Pietro, diacono di Ravenna. Nel 925 il castello di Modigliana è soggetto a Ingelrada II, figlia del duca Martino di Ravenna. Nel X secolo Guido, capostipite dei conti Guidi, è fatto conte palatino dall'imperatore Ottone I di Sassonia e riceve da questi il contado di Modigliana in Romagna.
Il 28 settembre 1164 l'imperatore Federico I Barbarossa conferma il possesso del castello di Modigliana a Guido Guerra. Nel 1166 il castello di Modigliana ospita l'imperatore Federico I Barbarossa con l'imperatrice, la quale vi partorisce un figlio chiamato Corrado. Il 25 maggio 1191 l'imperatore Enrico VI di Svevia conferma il possesso del castello di Modigliana ai conti Guidi. Il 29 novembre 1220 l'imperatore Federico II conferma il possesso del castello di Modigliana ai conti Guidi. Il 21 marzo 1230, per divisione patrimoniale sancita tra i conti Guidi, Modigliana viene assegnata a Guido e Tegrimo.
Nel 1278 Modigliana viene assediata dai Fiorentini. Il 14 giugno 1362 Fiore di Guido di Domestico dei conti Guidi da Modigliana si accomanda a Firenze con i suoi castelli, tra i quali c'è anche quello di Modigliana.
Il 7 agosto 1377 Modigliana si sottomette a Firenze e a seguito di questo evento viene imposta da quest'ultima la costruzione di una terza cinta muraria (oltre alla prima, poco distante dalla rocca, ed alla seconda, intermedia) lunga svariate miglia e dotata di 12 torri che termini con un imponente cancello, cioè la "Tribuna" che si affaccia sul fiume Tramazzo.
Nel 1415 Modigliana è castellaneria di primo grado nel distretto fiorentino. Nel 1440 il castello di Modigliana viene preso dalle truppe di Guidantonio Manfredi che ne ottiene la donazione dalla famiglia Visconti.
Nel 1445 Firenze rientra in possesso del castello di Modigliana. Nel 1502 Vitellozzo Vitelli espugna il castello di Modigliana e lo saccheggia.
Successivamente la perdita della funzione militare, il terremoto del 1661, seguito da altre forti scosse nel 1773, ne determinarono l'abbandono.
A Modigliana ci sono vari Palazzi e Chiese incastonati nel centro storico. Ci sono piccole case che si affacciano su stradine molto strette e palazzi di famiglie nobili con piazze e scorci incantevoli. Svetta la Rocca, appartenuta ai Conti Guidi.
Intorno al XII secolo insieme al mastio fu costruito il complesso delle mura e delle torri in ciottoli di fiume. Una prima cinta girava intorno alla Rocca seguendo i due versanti del monte. Questa era divisa in due corti interne separate da un muro nel quale si apriva una porta; esse contenevano le cisterne per l'acqua, le case dei soldati e la cappella (dedicata a S.Barbara). Da questa prima cinta muraria ne partiva una seconda che circondava l'attuale piazza Pretorio (il cosiddetto "Borgo Vecchio"), ed alla quale fungeva da fossato il torrente Ibòla che (prima di essere deviato dai Modiglianesi a causa delle continue e rovinose piene) scorreva dove oggi sorge piazza Oberdan.
Nel 1400 i Fiorentini (per mantenere quanto pattuito con la Comunità che si era data a loro in accomandigia) iniziarono la costruzione dell'ultima cerchia, adottando un tipo di muratura chiamata "a sacco". Queste ultime erano più basse e di maggior spessore di quelle precedenti, per essere più funzionali ed adeguate ai colpi di artiglieria, e chiudevano il cosiddetto "Borgo Nuovo" arrivando fino al torrente Tramazzo, che fungeva da fossato naturale.
Quale grande stagione abbia vissuto la Rocca di Modigliana durante il Medioevo è facilmente deducibile dalle vicende illustri in cui furono coinvolti i Conti Guidi.
Certamente la vita della massa dei servi era più misera ed oscura, costretti com'erano a lavorare ogni "greppio" ed a seguire i Conti nelle numerose campagne militari condotte sotto la loro bandiera o sotto quella degli imperatori germanici del Sacro Romano Impero. Tuttavia non è privo di fascino e suggestione immaginare come poteva essere la Rocca, quando intorno a lei si svolgevano le cacce, le cavalcate, i tornei, i duelli dei cavalieri, le feste ed i mercati dei poveri.
L'abbandono della rocca e dell'intero sistema di difesa iniziò quando Firenze, alla fine del 1500, iniziò la costruzione di nuove piazzeforti militari (come quella di Terra del Sole) ancora più capaci di resistere alle nuove armi.
L'abbandono, il saccheggio di materiali, i terremoti del (1661, 1725, 1918) hanno gravemente danneggiato, nei secoli, il mastio, mentre lo scorrimento delle acque, l'azione erosiva dei torrenti e le frane hanno ingoiato gran parte della prima cinta muraria e danneggiato la piattaforma sulla quale poggia la Torre.
Se oggi si guarda la rocca dal lato est, si scorge la sagoma abbastanza ben conservata, formata da un cubo sul quale è inserito un cilindro, mentre dal lato ovest appare come un interessante e suggestivo spaccato che mostra l'interno del torrione: esso è costituito da quattro vani a cupola, il più basso dei quali sotterraneo.
Delle mura più antiche restano ancora alcune parti: "le portacce" e la "porta del Borgo".
CEPARANO
Rocca
Si erge ancora imponente in cima ad un monte, sulla destra del fiume Marzeno, a circa 10 chilometri da Faenza, verso Modigliana, un rudere di un fortino medioevale conosciuto col nome “Torre di Ceparano” simile alla pianta del castello di Rontana. Una pieve, già ricordata dal Fantuzzi, intorno al 970, dedicata a S. Maria in Castro cepariano, era posta sull'aspro vertice di Ceparano (castrum Ceparani), con attorno un castelletto di cui oggi restano i ruderi accennati. Il castrum era sotto il controllo dei Guidi iniziando, forse, il dominio su queste terre nei primi decenni del X secolo col matrimonio tra il capostipite Tegrimo (conte di Palatino di Toscana, dando origine alla illustre famiglia dei Conti Guidi che per quattro secoli furono Signori di Modigliana e dintorni), ed Engelrada, contessa di Modigliana (figlia di Martino duca di Ravenna e cugina del famoso s. Romualdo fondatore dell'Ordine dei frati Camaldolesi).
Guido Guerra IV dei conti Guidi, fortificò il vertice del monte Ceparano presidiato da numerosi armigeri. Il Tolosano racconta che il 25 Settembre del 1167, i faentini assalirono Ceparano, demolirono le case, la pieve e le fortificazioni concedendo che la chiesa fosse riedificata in luogo non fortificato e di più facile accesso. Il conte di Modigliana, Guido Guerra V nel 1258, intese riprendersi il sito, ma i faentini lo obbligarono alla resa il 12 Agosto. La famiglia ghibellina faentina degli Accarisi lo ricostruì. Nel 1313, Ceparano passò alla famiglia faentina guidata da Francesco Manfredi, signore di Faenza. Nel 1356, il cardinale Albornoz conquistando Faenza, fece distruggere parecchi fortilizi fra cui Ceparano. Astorgio I riprese Faenza nel 1376, e ricostruì il fortino come testimoniano due lastre di pietra rinvenute entro una cisterna nei pressi della torre. Una delle lastre porta il blasone manfrediano composto da un dromedario someggiato ed in testa un elmo che ha per cimiero una testa di caprone. L'altra lastra ha lo scritto in latino e caratteri gotici, che così tradotta dice: "il 13 Febbraio 1378 questo castello fu edificato per il magnifico signore Astorgio dei Manfredi Signore di Faenza". Le lastre si trovano nella nostra Pinacoteca Comunale, acquistate nel 1893 dal direttore prof. F. Argnani e vendute dalla sig.ra Anna Dal Monte vedova Martini di Forlì.
Il fortino seguì le vicende storiche, per cui nel 1500 passò al Valentino, nel 1503 ai veneziani e nel 1509 alla Chiesa che, nel 1577, causa le frequentazioni dei malviventi che si servivano di questi castelli abbandonati come base per le loro sortite, ne decretò l'abbattimento. Avendo i faentini nel 1258, obbligato la costruzione della chiesa in un luogo non fortificato e di facile accesso, troviamo nel 1261 una chiesa dedicata a S. Maria in Insula sorta fra i meandri del rio Albonello, affluente del Marzeno (Viaggio nelle pievi ) .
Nel 1573 la visita del delegato apostolico Marchesini ricorda la chiesa di S. Giorgio e precisa che a quei tempi la pieve è noncupata (cioè chiamata), de Albonello. La chiesa d'oggi sorse a cavallo del Seicento, in quota più bassa del monte omonimo, arricchita del titolo pievano col nome di s. Giorgio. Il santo che uccide il drago, dipinto da ignoto artista, era posto dietro all'altare maggiore ed era coevo alla chiesa. Un pregevole fonte battesimale in marmo scolpito con motivi rinascimentali di tipo toscano, portava l'anno 1474. Esso ornava il colonnato di destra ed oggi è conservato al Museo Diocesano di Faenza come il dipinto. Il parroco che nel 1573 reggeva la parrocchia, don Vincenzo dalle Tombe, fu coinvolto nel turbine dell'Inquisizione con l'accusa di eresia insieme ad altri religiosi. Subì la detenzione nel monastero camaldolese di s. Giovanni di Dio (ubicato nella strada omonima, laterale di via Campidori). Il toponimo Ceparano, forse di origine fondiaria romana, può sottindere un continuum insediativo. Il sito serba nel nome memoria delle antiche cave di "marmo cipollino", di cui fornirono la materia molti monumenti esarcali.
Chiesa di San Giorgio
Le prime memorie della chiesa risalgono al 970, quando faceva parte del castello di Ceparano di cui oggi restano visibili solo i ruderi della torre sul vicino crinale. Castello e pieve appartennero ai conti Guidi di Modigliana, agli Accarisi e ai Manfredi di Faenza. Nel 1258 i faentini distrussero Pieve e Castello e ricostruirono la chiesa nel sito attuale dedicandola a San Giorgio. Da questa Pieve dipendeva un vicariato formato dalle parrocchie di Scavignano, Moronico, Marzeno e Rivalta. Da ciò si intuisce come la pieve ebbe un importante ruolo come centro di controllo del territorio.
CASTROCARO TERME
Sebbene la prima menzione di un castrum con questo nome si abbia solamente nel 1035 (Castrum Carium), probabilmente l'insediamento fortificato esisteva già da qualche secolo, con un altro nome: Sussubium. In un passo del Liber Pontificalis si dice che attorno al 754 il re dei Franchi Pipino il Breve, dopo aver sconfitto il re longobardo Astolfo concesse, per mano dell'abate Fulrado, alcune località dell'Esarcato e della Pentapoli, fra cui Forum Livii cum castro Sussubio. Nel 1059 si ha la prima testimonianza scritta, in una pergamena in cui si cita come testimone un certo “Guido de Castrocario”. Dal 1118 il castello appartenne alla famiglia dei Conti di Castrocaro, i Pagani.
Alla metà del XIV secolo il cardinale Egidio Albornoz riportò Castrocaro e il suo contado sotto il controllo della Santa Sede. Il successore del cardinale Albornoz, Anglico de Grimoard, nuovo legato pontificio della provincia di Romagna, fu incaricato dalla Santa Sede di censire la presenza di città, il numero di nuclei abitativi, fortilizi, suddivisioni feudali, forze finanziarie e capacità contributive dei singoli centri e dei presidi militari della Provincia. La relazione, denominata Descriptio provinciæ Romandiolæ, fu pubblicata nel 1371.
Di Castrocaro si descrive la posizione (nella provincia di Romagna nella diocesi di Forlì) e se ne elencano le località confinanti: Oriolo (comune di Faenza), Faenza, Modigliana, Dovadola, Salutare, casa Petrignano (a nord-est di Marsignano, comune di Predappio) e Colmano. L'Anglico passa poi a parlare del castello, strutturato in una parte superiore, dove si trova una torre chiamata "girone", e in una inferiore, che è chiamata rocca. A custodia della rocca è posto un castellano con venti soldati e una provvisione annuale di 10 fiorini.
La Descriptio afferma che fra la rocca ed i borghi è presente una cerchia di mura denominata “Murata”, elenca le quattro porte di accesso al castello (Porta dell'Olmo, Porta Zardorum, Porta San Nicola, Porta Franca) e parla delle varie ville presenti sul territorio. Il cardinale registra anche il numero di “focolari” (capifamiglia con una minima capacità di solvenza fiscale) ed attesta la presenza di: un Podestà, un notaio e un famiglio, con i rispettivi salari.
Le condizioni economiche dello Stato Pontificio, peggiorate anche a causa della "cattività avignonese)", nel XIV secolo non permisero più un controllo efficace della “Provincia Romandiole”. Così, papa Bonifacio IX nel 1394 diede in pegno ai Fiorentini il castello e il contado di Castrocaro per 18.000 fiorini d'oro. Però il castellano, Tommaso conte di Novi, non permise ai Fiorentini l'accesso al paese. Il 19 maggio 1403 i Fiorentini riuscirono ad entrare in possesso della fortezza, solo dopo aver pagato altri 2.000 fiorini.
Tra 1300 e 1400 la Repubblica di Firenze, per mezzo di acquisti, conquiste militari, trasformazioni di rapporti di accomandigia in rapporti di sudditanza, estese il suo dominio sulla Romagna. I territori acquisiti, negli statuti fiorentini del 1415 figurano come “Provinciae Florentiae in partibus Romandiolae”. Dagli statuti del 1415 di Firenze emerge come Castrocaro era considerata una delle 21 castellanie maggiori del territorio soggetto. Fino al 1454, anno della pace di Lodi, con la quale iniziò una fase di relativa stabilità fra gli stati italiani, è registrata la presenza di fanti alla difesa del castello.
La rocca di Castrocaro rimase inespugnata agli assalti di Agnolo della Pergola e di Cecco da Montagnana nel 1424 e 1425, di Nicolò Piccinino nel 1440 e di Bartolomeo Colleoni nel 1467. Verso la fine del ‘400 tuttavia, cominciò a preoccupare l'arretratezza della struttura del castello rispetto alle moderne tecniche di assalto.
Fortezza di Castrocaro Terme
L’imponente Castello è considerato dagli esperti uno dei più interessanti esemplari di architettura fortificata medievale. Nel punto in cui la valle del Montone si allarga gradualmente per aprirsi nella pianura forlivese si erge la rupe di Castrocaro, inconfondibilmente marcata dall’imponente fortezza. Da circa un millennio, un affascinante e originale soggetto panoramico, vigila sul sottostante paese. Integrata con il paesaggio la fortezza pare completare il disegno e la fisionomia della rupe, con la quale è diventata un’unica entità. I colori e i materiali si sono legati tra loro; gli ampliamenti strutturali, succeduti nei secoli del Medioevo e del Rinascimento, hanno adattato le esigenze belliche alla morfologia del terreno. Ne è risultato un irripetibile connubio in cui l’architettura fortificata si è inscindibilmente legata all’ambiente circostante.
La Fortezza di Castrocaro è composta da tre distinte opere architettoniche e difensive: il Girone, la Rocca e gli Arsenali medicei.
La visita parte dal Palazzo del Castellano dove è allestito il Museo storico del Castello e della Città, con armi, arredi, dipinti, maioliche medievali e rinascimentali che raccontano la millenaria storia della Fortezza attraverso i tre periodi di dominazione del castello e della città.
Si scende poi negli straordinari ed unici Arsenali Medicei della Fortezza di Castrocaro Terme, detti anche “cannoniere”, che rappresentarono una novità nel campo dell’architettura fortificata rinascimentale. Sono caratterizzati esternamente da un enorme muraglia in cotto mentre all’interno lo spazio è suddiviso in tre vasti ambienti di oltre 12 metri di altezza. In una sala è situato un grande e scenografico camino con canna fumaria obliqua, che sfrutta al meglio l’effetto “Venturi”.
Si passa poi all’Enoteca dei Vini Pregiati Locali, dove sono esposti (con possibilità di degustazione ed acquisto), i vini tipici romagnoli dei produttori locali, il Sangiovese, l’Albana, il Trebbiano, il Pagadebit e la Cagnina. La visita si conclude all’esterno, nella corte interna, punto centrale della rocca, un tempo deputato allo svolgimento delle varie attività di servizio del castello, e dove ora si effettuano spettacoli musicali, teatrali, animazioni e rievocazioni storiche. Nella corte si trovano: la secolare pianta di ulivo del sec. XVII dal genoma estinto; la Chiesa di Santa Barbara, delizioso tempietto sacro dalle armoniche proporzioni suggestivamente incastonato nella rude architettura della fortificazione medievale; la Torre delle Segrete e dei Tormenti, un luogo cupo e tuttora inquietante, ove i condannati del lontano passato finirono i loro giorni torturati dalla fame e dal freddo. Da qui, la vista che si gode è impagabile: a nord il castello di Montepoggiolo, ad est la vicina città di Forlì e andando ancora oltre, Ravenna e il blu del mare Adriatico. La corte interna si estende sulla splendida terrazza panoramica dove si apre il panorama sulla Valle dell’Acquacheta e sul Monte Falterona.
TERRA DEL SOLE
L'8 dicembre 1564, giorno dell'Immacolata Concezione, nel territorio “ultimo“ del Granducato di Toscana in Romagna, venne celebrato un importante rituale liturgico con lo scopo di accompagnare e benedire la fondazione della città fortezza di Terra del Sole: sarebbe sorta in un luogo che per natura pareva ostile ad un insediamento urbano (qui il fiume Montone creava frequenti alluvioni) e di difficile gestione amministrativa (qui vigeva la legge del banditismo).
«Ricordo come alli 8 di dicembre 1564 si cominciò a fabricare la nova Terra del Sole con processione et messa solenne in detto loco, sendo Comissario Geri Resaliti...»
(Relazione del Patrizio fiorentino Corbizio Corbizi.)
«Ilustrissimo et Eccellentissimo Signor Principe ... per la mattina della Concezione a hore 18 ci partiamo di Castrocaro con la processione di preti, frati et Compagnie et il Comessario et il Capitano Marcantonio con la banda di questo loco in ordinanza e con loro marraiolj comandati di questa comunità di Castrocaro tutti con buono ordine et arrivamo al sito … alla nuova fabrica del Castello del Sole et cominciando da Porta fiorentina ... et si andò baluardo per baluardo facendovi la prevista cerimonia e di poi si celebra missa solenne col Spirito santo a honor di Dio, di Maria Vergine e di tutta la celeste corte e della santissima Misericordia et noi videmmo dar signo di allagrezza sino al tempo quando il giorno avanti a quel dì medesimo fu nebbia grandissima e in quel punto quando arrivammo in sul luogo si allegrò il tempo così il sole va diffondere il suo lume quanto sin tanto che fu celebrata la messa e poi tornò la nebbia in suo ristar, e detta la messa il Sig.re Comissario in nomine di V. (vostra) I. (illustrissima) E. (eminenza) misse la prima fitta di vanga ...»
(Provveditore Lorenzo Perini, 1564.)
Mentre si celebrava la messa il cielo, dopo giorni di nebbia fittissima, si aprì ed il sole illuminò il luogo in cui si sarebbe costruita la città, per richiudersi a cerimonia conclusa. Questo episodio fu interpretato come segno di augurio e contribuì grandemente ad avvolgere la nascita di Terra del Sole in un'aura di leggenda ed a rafforzare l'identificazione tra la figura di Cosimo I de' Medici e la simbologia del sole, segno di quell'ordine e di quella razionalità che l'etimo del nome proprio del Duca intendeva celebrare.
«La fondazione della piccola città riassume, già nel nome, le principali tematiche urbanistiche e simboliche legate a riti e tradizioni millenaristiche. Anche senza bisogno di sottolineare le ascendenze bibliche ed egizie, questi significati erano stati concretamente riproposti, all'inizio del quattrocento, dalla Città del Sole degli Ussiti, e saranno poi ulteriormente esaltati nella celebre opera di Tommaso Campanella.»
Cosimo I de' Medici, il fondatore
La nuova città fu voluta da Cosimo I de' Medici, primo Granduca di Toscana (1519-1574), figlio del Capitano di ventura Giovanni dalle Bande Nere, nato da Caterina Sforza, Signora di Forlì, sposata in terze nozze con Giovanni de' Medici detto "Il Popolano".
Il 5 agosto del 1564 il duca di Firenze Cosimo I de' Medici insieme al figlio Francesco, principe reggente e all'altro figlio Ferdinando, cardinale di Santa Romana Chiesa, con il segretario Bartolomeo Concini e l'ingegnere Giovanni Camerini, giunge in visita a Castrocaro e sceglie il luogo dove costruire la nuova fortezza. Ripartendo lascia una pianta (probabilmente un abbozzo) della nuova costruzione al castellano Marcantonio Vittorini. Il 15 agosto il castellano di Castrocaro, in una missiva diretta al duca Cosimo, fa esplicito riferimento alla pianta della nuova fortezza ideata e tracciata dallo stesso principe: “la pianta per la nuova fortezza expecta l'ordine per immortalarsi essendsi disegnata e fatta d'un princepe tanto grande, a Idio piaccia che con la vita di Vostra Eccellenza Illustrissima io sia degno di vederla perfetta. [Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, Filza 511, cc. 126R, 138V]”. Le misure del perimetro della fortezza sul luogo designato da Cosimo nella sua visita dei primi di agosto verranno eseguite da Giovanni Camerini nei mesi successivi. In una memoria olografa del Capitano di Castrocaro Corbizio II Corbizi si trova registrato un preciso atto di nascita della nuova città fortezza: "Ricordo come alli 8 di decembre 1564 si cominciò a fabbricare la nova Terra del Sole con processione e messa solenne in detto loco sendo Comissario Geri Resaliti".
La decisione di costruire ex novo una città fortificata nell'enclave romagnola rientrava in una precisa politica di difesa dei confini del Granducato di Toscana. Secondo le intenzioni di Cosimo I sarebbe dovuta diventare la nuova sede prestigiosa degli “uffizi” medicei nella Romagna Toscana, una struttura urbana che doveva assolvere a funzioni amministrative, giudiziarie, militari, religiose e commerciali.
Cosimo I de' Medici nell'ideare la costruzione del nuovo insediamento romagnolo si avvalse della sua esperienza di soldato e di principe. Conosceva la storia dell'ingegneria militare, sapeva del castrum romano ed apprezzava i modelli di fortezza bastionata, distingueva le strutture belliche studiate per le balestre e l'arma bianca da quelle dove la difesa e l'offesa si fondavano sull'artiglieria. Per questo diversi ingegneri e architetti militari della corte medicea eseguirono gli ordini di Cosimo I de' Medici e di Francesco I de' Medici. Il primo disegno progettuale contenente la pianta della nuova città fortezza venne eseguito da Giovanni Camerini, che diresse e coordinò i lavori di costruzione della fabbrica dal 1564 al 1569. In seguito alla morte del Camerini nel 1570 verranno inviati a proseguire i lavori di costruzione di Terra del Sole altri tecnici al servizio dei Medici tra cui Bernardo Buontalenti, Baldassarre Lanci e Simone Genga.
Città-fortezza
"Terra del Sole può essere considerata con Palmanova e Sabbioneta come la più compiuta espressione della nuova modellistica urbana che si impone in Italia nel cinquecento, per diretta influenza delle teorizzazioni e delle concrete esperienze degli ingegneri militari".
A Terra del Sole le fortificazioni furono adeguate ai tempi e alle nuove tecniche militari. Così come per le altre fortezze (San Piero a Sieve, Empoli, Cortona, Montecarlo ai confini della Repubblica di Lucca; Portoferraio nell'Isola d'Elba e Sasso di Simone nel Montefeltro) volute da Cosimo I de' Medici, invece di lunghe cortine e torri, negli angoli si costruirono quattro bastioni muniti di orecchioni per proteggere, con le bocche da fuoco poste nelle cannoniere, le scarpe delle cortine costruite in terra battuta armata con palificate e rivestite di laterizio. Le porte cittadine, quella «fiorentina» e quella «romana», furono fortificate in maniera analoga a quanto era stato realizzato nelle «terre nuove» del XIV secolo.
Nel mese di giugno del 1579, benché restassero da compiere non pochi lavori di rifinitura, la città era quasi terminata nelle sue parti principali: nelle mura munite dei quattro baluardi, nei Castelli sopra le due porte, nel Palazzo del Provveditore e nel Palazzo dei Commissari con il suo imponente e differenziato insieme di carceri e segrete.
Nel 1579 la nuova «terra» di Cosimo I fu eletta capitale della Provincia della Romagna Fiorentina e il primo Commissario di Terra del Sole, Antonio Dazzi, fece trasferire il Bargello, il Giudice e la Corte civile e criminale, il Cancelliere e il maestro di scuola dalla vicina Castrocaro.
La cittadella diventerà sede di mercato per esercitare una vera e propria forma di controllo sulla copiosa produzione agricola del territorio romagnolo. Oltre all'approvvigionamento di grano il mercato di Terra del Sole avrebbe garantito anche quello del sale che proveniva dalla vicina Cervia.
Il Granduca, sempre preoccupato per l'incombente spettro della carestia, per ovviare alle carenze di grano della Toscana, ne avrebbe fatto incetta nella fertile Romagna utilizzando un deposito fortificato quale la città di Terra del Sole.
Nel 1579 Terra del Sole fu eletta capitale della Provincia della Romagna Fiorentina e il primo Commissario, Antonio Dazzi, fece “traslocare” da Castrocaro il Bargello, il Giudice, la Corte civile e criminale e il Cancelliere. La fortezza fu disarmata nel 1772 e nel 1776 fu soppressa anche la Provincia.
Più che fortezza militare, Terra del Sole, in quanto città capoluogo provinciale della Romagna fiorentina, fin dal suo sorgere e fino alla metà del Settecento, fu il luogo "ideale" dove veniva esercita l’amministrazione delle giustizia civile e criminale: inquisizioni, processi, condanne, pene corporali ed esecuzioni erano pratica quotidiana.
A questo si aggiunga che, come ovunque in Italia, alla fine del ‘500, anche nella Toscana medicea il banditismo toccò il suo culmine.
Terra del Sole per la sua posizione geografica, posta al confine con lo Stato delle Chiesa, per la sua struttura urbanistica e architettonica (una città-fortezza) e per le funzioni amministrative delegate (capoluogo amministrativo provinciale della Romagna Toscana), divenne anche il luogo ideale per lo svolgersi delle istruttorie processuali non solo contro i banditi, ma per ogni tipo di reato.
CASTELLO DI MONTE POGGIOLO
Castello di Monte Poggiolo
La rocca di Montepoggiolo è un castello del XVI secolo, costruito come ampliamento di una torre del X secolo, che sorge su un colle nel comune di Castrocaro Terme e Terra del Sole (in provincia di Forlì). Venne realizzata interamente in mattoni e progettata da Giuliano da Maiano, presenta una pianta romboidale con sugli spigoli bastioni a pianta circolare, con muratura a scarpa, secondo un modello diffuso nelle cosiddette fortificazioni di "transizione" sorte con l'avvento delle armi da fuoco. La costruzione presentava infatti anche elementi tipici delle fortificazioni medievali come il camminamento di ronda su beccatelli a mensole. Uno dei bastioni circolari, di grandi proporzioni, fungeva anche da mastio del complesso, esemplificando la funzione tipica di avamposto militare fisso con pochi addetti, ma efficace contro gli attacchi.
Realizzata probabilmente come posto di vedetta della città di Castrocaro Terme, i primi documenti storici che riportano indirettamente informazioni su questa rocca risalgono al 906, quando viene citato tal "conte Berengario del castello di Montepoggiolo". Passò poi ai Malatesta e divenne uno dei rifugi preferiti di Gianciotto Malatesta. Nel 1403, insieme al castello di Castrocaro venne annessa al Granducato di Toscana.
Nel 1471 venne deciso il suo ampliamento da semplice torre a rocca vera e propria e tra il 1482 e il 1490 fu costruita su progetto di Giuliano da Maiano, nell'ambito di una politica complessiva di rafforzamento dei confini portata avanti dai Medici. Montepoggiolo inoltre, insieme alla Rocca di Castrocaro rappresentava un avamposto per conquistare in prospettiva un accesso all'Adriatico.
Dopo il 1564, con la costruzione della fortezza Terra del Sole a brevissima distanza e dotata di artiglieria, la rocca di Montepoggiolo perse la sua importanza. La sua funzione fu ridotta a quella di vedetta, fino al suo disarmo avvenuto nel 1772. Nel 1782 venne ceduta e da allora è rimasta proprietà privata.
FORLÌ
Durante il Rinascimento Forlì vantò molteplici intrecci con la storia nazionale italiana: sua signora fu Caterina Sforza, che, vedova di Girolamo Riario (nipote di papa Sisto IV), sposò, nel 1497, Giovanni de' Medici (detto "il Popolano"), matrimonio dal quale nacque, l'anno successivo, Ludovico (poi Giovanni) detto Giovanni delle Bande Nere, il famoso capitano di ventura, padre di quel Cosimo I de' Medici che sarà il primo Granduca di Toscana. Caterina, nonostante un'eroica resistenza nella rocca di Ravaldino, in Forlì, fu sconfitta da Cesare Borgia nel piano di espansione dei possedimenti papali in Romagna.
Rocca di Ravaldino
La Rocca di Ravaldino, conosciuta anche come la Rocca di Caterina Sforza, fu per tutto il Medioevo uno dei luoghi deputati alla difesa di Forlì. Nel 1471, Pino III Ordelaffi fece progettare all'architetto Giorgio Marchesi Fiorentino le fortificazioni ancora esistenti. Nel 1481, su commissione del nuovo Signore di Forlì, Girolamo Riario, e sempre ad opera di Giorgio Marchesi Fiorentino, fu costruita la Cittadella, poi, sui due lati esterni, furono aggiunti il rivellino di Cotogni (con resti ancora visibili) e il rivellino di Cesena. I Rivellini, la Cittadella e la Rocca erano tutti corpi separati, circondati da un complicato sistema di fossati e ponti levatoi. Nel 1496 Caterina Sforza, vedova di Girolamo Riario e reggente in nome del figlio Ottaviano, costruì un terzo rivellino davanti alla Rocca e una palazzina sulle rovine dell'antico forte trecentesco, chiamata Il paradiso. Il complesso, ritenuto a quei tempi imprendibile, fu giudicato invece da Niccolò Machiavelli, che l'aveva osservato nell'estate del 1499 quando vi fu ricevuto come ambasciatore, troppo articolato e quindi estremamente vulnerabile. Cinta d'assedio nel dicembre 1499, la Rocca di Ravaldino cadde il 12 gennaio 1500 per mano di Cesare Borgia e Caterina Sforza fu condotta a Roma prigioniera del Papa. Il rapido sviluppo delle artiglierie determinò il declassamento delle fortificazioni forlivesi a carcere, funzione che permane tuttora in quanto alla fine del secolo scorso, all'interno della Cittadella vennero costruite le attuali prigioni. La Rocca è stata recentemente restaurata anche attraverso la ricostruzione delle coperture di due torrioni e del maschio. Quest'ultimo, che si erge al centro della cortina est, è costituito da tre sale sovrapposte; in quella superiore si trova la bocca di un pozzo a rasoio, che scende fino al livello del cortile interno. Nel maschio si trova anche una singolare scala a chiocciola in pietra, senza perno centrale, i cui 67 scalini si sostengono per sovrapposizione. La scala non è accessibile al pubblico. Nel lato sud della Rocca è ancora visibile un grande stemma dei Borgia, proprio nel punto in cui nel 1500 Cesare Borgia fece praticare la breccia che gli consentì di conquistare la Rocca.
FORLIMPOPOLI
Rocca di Forlimpopoli
La costruzione di un primo fortilizio risale alla metà del XIV secolo: la struttura viene edificata fra il 1361 e il 1363 per volontà del cardinal legato Egidio Carrilla de Albornoz sulle rovine della cattedrale romanica intitolata a Santa Maria Popiliense e del vescovado; essa viene indicata, in alcuni documenti dell’epoca, con il nome di Salvaterra, a evocare la semplice funzione svolta a presidio del territorio e a protezione della piccola comunità sopravvissuta alla distruzione della città perpetrata dalle truppe pontificie nel 1360. Nel 1379 Sinibaldo Ordelaffi, divenuto signore di Forlimpopoli per concessione del pontefice Urbano VI, opera la prima trasformazione del fortilizio in una rocca vera e propria. Fra il 1471 e il 1480 Pino III Ordelaffi avvia un intervento che conferisce alla struttura la mole e l’aspetto attuali, intervento che viene completato sotto le signorie di Gerolamo Riario e di Caterina Sforza. La nuova fortificazione risulta caratterizzata da possenti bastioni rinforzati da una muratura a scarpa, da quattro torrioni angolari a sezione quadrata (successivamente, con l’evolversi delle tecniche e delle armi da combattimento, questi vengono incamiciati entro una muratura a sezione circolare) e, in ultimo, da un ampio fossato che corre lungo i quattro lati della Rocca (di cui oggi si conservano solo i tratti orientale e meridionale). L'aspetto rinascimentale della costruzione cominciò a prendere forma dapprima con l'opera ricostruttiva di Pino Ordelaffi III nel 1471, per poi proseguire con Caterina Sforza. La Rocca di Forlimpopoli assunse così un aspetto conforme alla tipopogia dell'architettura militare romagnola degli anni 1470-80. La sua struttura trova chiari riscontri nelle contemporanee rocche di Imola, Forlì e Dozza. Successivamente il fortilizio passa sotto il dominio di Cesare Borgia, dei Rangoni e, fra il 1535 e il 1578, degli Zampeschi.
BIBLIOGRAFIA: