Cesare Borgia e Caterina Sforza

Cesare Borgia

Alla fine del Quattrocento, la Romagna appartiene formalmente allo Stato Pontificio, ma di fatto le città sono dominate dalle famiglie che hanno conquistato il potere trasformando le istituzioni comunali medievali in signorie, innescando  una continua rissosità nel territorio. I papi che si erano succeduti in quel secolo e nel precedente avevano tentato in più occasioni di riaffermare la loro autorità, per consolidare un territorio troppo instabile e soprattutto molto esposto alle mire degli stati vicini, ma senza esito. La situazione muta radicalmente quando si affaccia sulla scena romagnola Cesare Borgia (1475- 1507), figlio del cardinale Rodrigo Borgia (1431-1503) divenuto nel 1492 papa Alessandro VI

Cesare Borgia è destinato a incrociare le proprie ambizioni con le strategie politiche, militari e dinastiche del padre, ed è l’uomo ideale per porre la Romagna sotto un unico stabile dominio e farne il baluardo del confine settentrionale dello Stato della Chiesa. Cesare diventa il  destinatario del sostegno e delle ambizioni del padre per la famiglia Borgia, che si concretizzano in un’alleanza a tre che comprende oltre al papa e a Cesare anche il re di Francia Luigi XII. Questi doveva ottenere dal papa l’annullamento del suo matrimonio per poter sposare Anna di Bretagna e  rinsaldare così il suo controllo su quell’importante ducato; Alessandro VI, dal canto suo, poteva giovarsi della forza militare francese per il ripristino del suo effettivo dominio sulla Romagna e su parte dell’Italia centrale; Cesare, infine, diventava lo strumento operativo di questo disegno, trovando il territorio e la forza per realizzare le sue ambizioni. Luigi XII chiama il giovane Borgia in Francia, dove trova una sposa adatta al suo rango, Charlotte d’Albret, e crea per lui il ducato del Valentinois (da qui l’appellativo di “Duca Valentino”), concedendogli anche di mostrare i tre gigli di Francia nel suo stemma e sigillo. Le motivazioni politiche e militari dell’alleanza con i rispettivi ruoli sono esplicite nel messaggio che Luigi XII manda al comune di Bologna il 5 novembre 1499, per ottenere il passaggio dei soldati francesi che partecipano alla prima campagna di conquista avviata dal Borgia. Il Valentino da parte sua è in grado di far fruttare al meglio queste protezioni, già di per sé determinanti, aggiungendo le proprie qualità personali (abilità militare e politica, e soprattutto una smisurata ambizione e spregiudicatezza), tanto da diventare agli occhi di Niccolò Machiavelli – che in qualità di ambasciatore di Firenze presso di lui lo conoscerà da vicino – l’esempio del principe rinascimentale. Il motto che sceglie è “aut Caesar aut nihil” (“o Cesare o niente”), e le sue azioni, insieme a quelle del padre  e della sorella Lucrezia, creano attorno alla famiglia Borgia una fama sinistra che influirà notevolmente anche sulla  storiografia del rapporto con Leonardo.

Il progetto di Cesare è unificare la Romagna in un solo ducato, e da lì partire alla conquista di altre signorie minori nell’Italia centrale consolidando e ampliando il suo dominio, sempre con l’appoggio del Re di Francia e con l’attenzione – non sempre efficace – a non turbare gli equilibri generali delle potenze maggiori. Dopo aver accompagnato Luigi XII il 6 ottobre 1499 nell'ingresso a Milano in seguito alla cacciata di Ludovico il Moro, alla cui corte si trovava da anni Leonardo da Vinci, Cesare scende verso Imola, la quale verrà presa l’11 dicembre dopo pochi giorni di assedio; è poi la volta di Forlì, che cade il 12 gennaio 1500 dopo l'inutile resistenza di Caterina Sforza, duchessa di entrambe le città. Borgia si assenta dalla Romagna per qualche mese, ma nel frattempo, il 31 luglio 1500, anche il consiglio cittadino di Cesena (la signoria dei Malatesta era cessata nel 1465 con la morte di Malatesta Novello) accetta di consegnarsi al Valentino. Egli ritorna e il 28 ottobre prende possesso di Pesaro e il 30 dello stesso mese anche di Rimini, cacciando Pandolfo IV Malatesta. Da Cesena, città che sceglie come sede del ducato, inizia ad organizzare l’amministrazione del territorio, e nel novembre 1500 mette l’assedio a Faenza, subito interrotto a causa della neve. Passa il Natale a Cesena e il Capodanno a Porto Cesenatico, riuscendo a prendere Faenza alla fine di aprile del 1501, con l’imprigionamento e poi, a Roma, l’uccisione del giovanissimo Astorre Manfredi. Vorrebbe a quel punto attaccare Bologna, ma non può perché Luigi XII la considera all'interno della sua sfera di influenza; grazie ad un trattato riesce però ad avere dai Bentivoglio Castel Bolognese, mentre il papa il 15 maggio formalizza il suo dominio con il titolo di Duca di Romagna. Anche Firenze gli è preclusa, ma ciò non impedisce al Borgia di allargarsi anche in Toscana conquistando nel settembre 1501 Piombino e l’isola d’Elba portando così il suo ducato fin sul Tirreno, contando sull’alleanza di alcuni signori locali, come Vitellozzo Vitelli di Città di Castello, grazie al quale l’anno seguente verranno fomentate in chiave anti fiorentina le rivolte di Arezzo e della Val di Chiana. Alla fine del 1501 Cesare può consolidare il suo potere in Romagna con l’azione di governo e l’avvio di opere pubbliche. Pochi mesi dopo intraprende una nuova campagna che culmina il 20 giugno 1502 con la presa di Urbino e il giorno dopo di Camerino.

Al principio del 1503 tuttavia l’espansione territoriale del ducato di Cesare Borgia è ormai finita, ed anche Luigi XII mette un freno a ulteriori conquiste che avrebbero turbato i delicati equilibri dell’Italia centro-settentrionale. A provocare però l’inevitabile caduta del Valentino è la morte del padre, Papa Alessandro VI, avvenuta il 18 agosto 1503, che – dopo l’allentarsi del legame con il re di Francia – fa venir meno la protezione e l’autorità che lo garantivano. Ormai Cesare è solo, in uno scenario che in pochissimo tempo gli è divenuto ostile: dopo il brevissimo pontificato di Pio III, durato appena ventisei giorni, subentra al soglio pontificio Giulio II, al secolo Giuliano della Rovere, di famiglia avversa ai Borgia, che toglie immediatamente a Cesare il governo della Romagna ordinandone anzi la reclusione in Castel Sant’Angelo. Dopo una fuga e alcuni tentativi rocamboleschi di riguadagnare il potere, Cesare Borgia è costretto a tornare in Spagna dove si rifugia presso il cognato. Viene ucciso il 12 marzo 1507 in uno scontro sotto al castello di Viana con alcuni vassalli ribelli, che non rendendosi conto di chi egli sia, rubano i vestiti al suo cadavere. La Romagna sembra destinata a tornare in balìa delle famiglie locali e delle mire degli stati vicini, in particolare Venezia, che ambiva ad estendere la rete dei suoi porti e domini costieri anche sulla sponda occidentale del “suo” golfo, il mare Adriatico. Cesena, che aveva accarezzato il sogno di diventare la capitale di un ducato, «non se sapeva se l’avea a essere del papa o del duca o de franzosi o di vinitiani o della fiola del duca e de Feltreschi o sacomanata», come riferisce il cronista contemporaneo Giuliano Fantaguzzi. La situazione però in pochi anni si stabilizza: nel 1509 la Lega di Cambrai vincendo ad Agnadello riesce a bloccare l’espansione di Venezia anche su questo territorio, e tutta la Romagna diventerà parte dello Stato della Chiesa per oltre tre secoli e mezzo, sino all’Unità d’Italia. 

E ora, uno sguardo sulle città romagnole...

 


 

Cesena

Durante il periodo dell’occupazione del Valentino si avverte una stasi nelle commissioni artistiche romagnole: come una sospensione da parte degli eventuali committenti e degli artisti in attesa di chiarimenti, come una diffidenza per un governo senza radici e quindi senza garanzie di stabilità. La rapida conquista non aveva convinto del tutto e, forse, era troppo evidente la dipendenza della fortuna del duca dalla vita del suo ultra settantenne padre pontefice.

Certo si continuò a lavorare in alcuni cantieri che erano già a buon punto. Però di imprese artistiche nuove, di una certa rilevanza s’intende, fra il 1500 e il 1503 non pare ne siano state iniziate. Un po’ in tutte le città romagnole si registrano quasi solo o soprattutto modeste fondazioni di cappelle votive e funerarie e nuovi sepolcri; doveva essere funeraria anche la cappella costruita nel 1500 nella chiesa dei frati dell’Osservanza di Cesena dall’ormai anziano Maltosello Malatesti, un bastardo dell’ultimo signore di Pesaro, già pupillo ed erede di Malatesta Novello.

 


 

Forlì

A metà novembre 1499 Cesare Borgia stabilì gli alloggiamenti presso Castel Bolognese, al di fuori, comunque, del territorio bolognese e da lì cominciò la campagna militare contro Caterina Sforza ed i figli del defunto marito Girolamo Riario. Imola gli spalancò le porte liberamente il 24 novembre 1499; la rocca cadde nella prima metà di dicembre. Anche a Forlì gli abitanti non si opposero al Borgia che entrò in città il successivo 17 dicembre; ma la rocca era più munita e difesa personalmente da Caterina Sforza; tuttavia il 12 gennaio 1500 dovette anch’essa capitolare. Cesare Borgia assunse nelle due città il titolo di vicario per la Chiesa. Oggi la cortina della Rocca reca uno stemma di Cesare Borgia, nel punto in cui, secondo una tradizione storicamente non accertata, fu aperta la breccia attraverso la quale il Valentino irruppe all’interno.

Di che cosa si sarebbe potuto occupare, Leonardo da Vinci, a Forlì? Per esempio delle fortificazioni: le rocche di Ravaldino e San Pietro, le mura concluse pochissimi anni prima da Caterina Sforza. O del complesso sistema dei corsi d'acqua (si sa che nel 1502 furono regolarizzati i mulini di Ravaldino), nonché del vagheggiato Porto di Forlì, progetto sempre bramato ma mai realizzato, all'uscita del canale alla Grata, tra gli attuali viale Italia e via Isonzo, con un largo naviglio che avrebbe raggiunto il mare. Sarebbe stata, questa, una sfida che avrebbe di certo solleticato l'estro ingegnoso di Leonardo: però non c'è carta che parli. 

Nel 2009 fece scalpore, a Forlì, la controversa ipotesi che vuole celarsi dietro al volto misterioso della Gioconda nientemeno che Caterina Sforza, ritratta tra il 1503 e il 1506. La tesi, sostenuta inizialmente dalla studiosa tedesca Magdalena Soest, è stata poi accolta dall'australiana Maike Vogt-Luerssen che, con un minuzioso e innovativo lavoro iconologico, ha fatto borbottare non pochi per il curioso collegamento tra la celebre opera vinciana e la cosiddetta Tigre di Forlì. Sovrapponendo i volti della Gioconda e della Dama dei Gelsomini, ossia il noto "presunto (benché paia entrarci poco) ritratto di Caterina Sforza" conservato nella Pinacoteca forlivese, molte cose sembrano coincidere. Sicché il bel dipinto forlivese sembri in un certo qual modo in connubio con il quadro - forse - più noto al mondo, conservato al Louvre. Leonardo, sicuramente, incontrò la Tigre di Forlì: nel 1503 erano insieme alla corte dei Medici a Firenze. 

Se Leonardo da Vinci non si è ricordato di Forlì, potrebbe essere a causa di contorte gelosie del Duca Valentino che, sapendolo conoscente di Caterina Sforza, temeva che il Maestro avrebbe potuto rammentare ai forlivesi l'antica Signora spodestata dal rampollo Borgia? Non si sa e probabilmente non si saprà mai.

 


 

Faenza

Nel 1499 iI papa Alessandro VI aveva mano libera contro Faenza, avendo mercanteggiato con successo e ottenuto, oltre l'appoggio del re di Francia, anche il consenso dei Veneziani (protettori di Faenza!). Questi aveva peraltro un buon alibi per il decreto di morte delle signorie romagnole deciso il 25 settembre 1499 a Nepi dalla figlia Lucrezia Borgia e quindi per le sue mire espansionistiche a favore di Cesare Borgia.

Soverchianti forze militari, 14-15.000 uomini (praticamente un'intera Faenza) al comando del Valentino, nominato fin dal 17 marzo gonfaloniere e capitano generale della chiesa, con azione fulminea presero a Ottaviano Riario Imola il 9 dicembre 1499, e l'11 Dionigi Naldi, castellano, dovette cedere. Forlì aprì le porte il 14 dicembre e il 12 gennaio 1500 la rocca, pur difesa da Caterina Sforza, si arrese. Ripresa poi la conquista dopo un'interruzione, fu la volta di Pesaro, abbandonata dal suo signore Giovanni Sforza, cognato del Borgia, perché primo marito di Lucrezia; anche Pandolfo Malatesta lasciò la sua Rimini dopo un'esigua resistenza. II turno di Faenza non era lontano. Il pericolo incombeva gravissimo: si cercò allora di correre ai ripari. Astorgio III Manfredi, quattordicenne, signore bambino di Faenza, vicario della Santa Sede, tentò di tornare in grazia del pontefice; inviò a Roma nel gennaio del 1500 il giureconsulto Gabriele Calderoni a pagare il canone annuo, 1009 ducati. A nulla valse il tentativo: al Calderoni non restò che depositare il danaro nel banco di Stefano Ghinuzzi, a Roma, redigere una protesta e ripartire per Faenza di fronte al netto rifiuto di papa Alessandro che non volle confermare Astorgio come vicario, togliere a lui la scomunica né I'interdetto a Faenza, comminati dal giugno, non volle neanche riscuotere il censo, segni tutti della sua irrevocabile decisione su Faenza.

A Faenza non restava dunque che apprestarsi alla difesa. Il 4 novembre 1500 il Valentino marciava da Rimini col suo ingente esercito capitanato dal fior fiore dei condottieri francesi, spagnoli e italiani: Gian Paolo Baglioni, Onorio Savelli, Ferdinando Farnese, Giulio e Paolo Orsini, Vitellozzo Vitelli. Giunto a Forlì inviò Vitellozzo in Val Lamone con 500 cavalli. Fu immediata la resa delle rocche grazie anche al ruolo di Dionigi Naldi, passato per il suo odio contro Astorgio, dopo I'uccisione di Ottaviano Manfredi, dalla parte del Valentino. Cadde Brisighella, resistette solo Compadrino di Ceruno, castellano della rocca di Monte Maggiore, ma poi fu costretto a desistere per mancanza di viveri. II 6 novembre il giovanissimo Astorgio convoca il Consiglio Generale che delibera la difesa della città fino allo stremo, all'ultimo sangue, istituisce una nuova magistratura "I 16 della guerra", 16 cittadini appunto, 4 per ciascun quartiere, ai quali il Consiglio conferisce piena autorità per il disbrigo degli affari militari con I'ausilio di 4 anziani. Nella stessa sessione Astorgio chiede aiuto ai faentini e ottiene 282 ducati. L'atto solenne, dallo schedario rossiniano, elenca gli anziani del momento, i 16 della guerra e 59 offerenti.

Viene eletto al comando delle forze militari il conte Bernardino da Marzano, nelle rocche si collocano castellani leali, degni di fiducia. Niccolò Castagnino, castellano di Faenza, sospetto traditore, è sostituito da Giovanni Evangelista Manfredi, figlio naturale di Galeotto e fratello quindi di Astorgio. II nonno di quest'ultimo, Giovanni Bentivoglio, manda da Bologna a consigliere del nipote, il secondo marito di Francesca, madre di Astorgio, Guido Torelli, per far riparare il nipote a Firenze o a Venezia. Ma i Sedici sono di parere contrario ritenendo che la presenza del giovane signore sia di incoraggiamento e di stimolo ai cittadini. II 15 novembre Borgia espugna anche il Castello di Oriolo (Oriolo dei Fichi) fuori della valle. E’ talmente rifornito di grano che i soldati ne fanno commercio. L'indomani, 16 novembre, ha inizio I'assedio di Faenza. La disparità di forze fra assedianti e assediati è lampante.

La robusta cinta muraria fatta erigere da Astorgio II nel 1462, completa I'opera di Astorgio I (1377 - 1405); (I'ampliamento che costituì la cinta attuale si deve a Carlo II (1468-1477), e la rocca costruita nel 1371, dove è oggi l’Ospedale Civile, ebbero parte determinante, oltre il valore umano, nella difesa e resistenza della città). II campo del Valentino venne posto a sud del Borgo Durbecco, le artiglierie disposte fra Lamone e Marzeno. II 19 grazie a queste è colpito il torrione del Borgo. E’ del 20 novembre un attacco micidiale, svoltosi fra le 18 e le 21, in cui resta ucciso Onorio Savelli, uno dei più valenti condottieri del Borgia. I cronisti ci regalano poi una pagina eroica al femminile: gli attaccanti nella loro avanzata erano riusciti a piantare sulle mura due insegne, ma una fu ributtata nel fossato sottostante, I'altra strappata alI'alfiere dalla figlia di Bartolomeo Torelli, la prode Diamante, cui sono dal 1900 intitolate le mura sovrastanti via Lapi, dal soprannome popolare "al mura d'Montecarlo".

Per Cesare Borgia I'impresa si presentava dunque più difficile del previsto per il valore formidabile della piccola Faenza. Dal tardo autunno, nel freddo inverno fino alla seguente primavera, iniziavano così sei lunghi mesi di mosse diversive, trattative, artifici, insidie, inganni. II Valentino, riusciti vani i tentativi di scalare nottetempo le mura, procede a prendere Granarolo, Solarolo, Russi, altri castelli della Val Lamone.

A primavera iniziata, iI sabato santo del 1501, 10 aprile, gran parte del popolo si riunisce nella nuova cattedrale, il Duomo, la cui costruzione era iniziata nel 1474, assumendo I'impegno di superare discordie, diversità di vedute per una leale unione a difesa della città. L'esercito del Valentino non si fa attendere e sferra il primo assalto contro il Convento dei Minori Osservanti, ove ora è la chiesa dell'Osservanza. Dopo una resistenza di ben sei giorni, a quanto riferiscono i cronisti, il gruppo di giovani faentini che si era insediato lì deve abbandonare il convento, che, dal 18 aprile, diviene quartier generale del Borgia. Le artiglierie vengono rivolte contro la rocca: espugnato il nuovo bastione, 1660 colpi fracassano il ponte d'accesso dalla città alla rocca. Ciò nonostante, nell'assalto generale il Valentino è respinto e i faentini riescono a costruire un altro ponte meno esposto al nemico. Un successivo attacco, il 20 aprile, dei Francesi prima, degli Spagnoli poi e infine degli Italiani, mentre i colpi di bombarda distruggono la metà superiore del maggior maschio della rocca, è respinto; molti i morti francesi e spagnoli.

La città è ormai ridotta allo stremo: mancano soldati, viveri, munizioni, il tentativo di resistere a oltranza appare folle e temerario per la cittadinanza e il suo signore. I cittadini deliberano quindi di non aspettare I'assalto. Astorgio, informato per mezzo di un padre osservante, concorda con loro raccomandando che i capitoli di resa siano onorevoli per lui e le sue cose. Il 25 aprile 1501 è decisa e firmata la resa fatale, tragico suggello della signoria manfrediana. I patti sono onorevoli, ma non rispettati di fatto. Un salvacondotto lascia liberi i Manfredi di disporre di sé, è concessa un'amnistia generale a tutti quelli che si erano opposti alla conquista della città. Miguel de Corellas con 500 spagnoli è inviato dal Valentino a prendere possesso della Rocca. II giorno 26 Juan Vera, cardinale spagnolo è nominato legato pontificio e giunge a Faenza per ricevere il giuramento di fedeltà dal popolo. La sera dello stesso giorno, circa alle 21, escono dalla città, accompagnati dalle lacrime di tutto il popolo, i giovanissimi Astorgio III e Giovanni Evangelista Manfredi per rendere omaggio al duca Valentino che li accoglie con apparente benevolenza trattenendoli presso di sé. Nominato dal padre il 29 aprile duca di Romagna, egli procede verso Bologna, ma il re di Francia lo ferma al Sillaro, a Castel S. Pietro, ed egli deve perciò accontentarsi di questo castello e di Castelbolognese. I due Manfredi vengono accompagnati attraverso i passi dell'Appennino dal De Corellas a Roma e per un anno, contro quanto pattuito nella resa, rinchiusi nelle prigioni di Castel Sant'Angelo fino alI'atroce morte del 2 giugno 1502.

Per pochi giorni soltanto un Manfredi superstite, Francesco, altro figlio naturale di Galeotto, sarà nel 1503 signore di Faenza con il nome di Astorgio IV. Breve illusione: gli uomini della Val Lamone trattano coi Veneziani, sulla rocca lo stendardo di S. Marco, in città milizie della Serenissima dal 19 novembre 1503. Così ha fine una signoria di due secoli e proprio a Venezia finirà in esilio Astorgio IV. Si spegne una famiglia, si conclude per sempre la storia di un mondo coi suoi splendori signorili, la sua potenza, i suoi intrighi. Ma ancora oggi nel centro di Faenza, il palazzo Manfredi, la piazza, i bei loggiati, il duomo, intorno, quel che resta delle mura; fuori, i castelli superstiti sono a parlarci dei Manfredi, come della corte manfrediana ci parlano cultura e arte, artigianato, ceramica, manualità artistica, musica; e non sono perdute iconografie della rocca, delle torri, delle porte munite.

 

Faenza (Ra), Veduta panoramica

 


 

Castel Bolognese

Conquistata, dunque, anche Faenza, non rimaneva al Valentino che Bologna ed il suo avamposto in Romagna, Castel Bolognese, per completare il territorio del suo futuro Stato. I bolognesi si prepararono frettolosamente alla difesa, pur essendo consapevoli della propria inferiorità militare. Due ambasciatori furono inviati al re di Francia Luigi XII, per sapere da lui quale fosse l’animo del Valentino. Il re rispose che Bologna non doveva temere nulla purchè non impugnasse le armi contro di lui; pertanto Giovanni Bentivoglio decise di blandire il tiranno mandandogli due ambasciatori, Giovanni Marsili ed Angelo Ranuzzi a congratularsi per la presa di Faenza. A Cesare Borgia, già offeso per l’aiuto concesso dai bolognesi ai faentini, questa mossa parve una vera beffa; per cui, invitati quegli ambasciatori nella rocca di Castel San Pietro, con uno stratagemma li fece rinchiudere quali ostaggi. Intanto non si fermava l’avanzata verso Bologna: negli ultimi giorni di aprile furono conquistate dal Valentino terre bolognesi quali Castel San Pietro, Casalfiumanese e Castel Guelfo, mentre Vitellozzo Vitelli prese in nome del Borgia Medicina e Varignana, attestando le armate ducali lungo il fiume Idice. Giovanni Bentivoglio, sentitosi accerchiato, (Luigi XII infatti pur desiderando l’indipendenza di Bologna, non sarebbe potuto intervenire militarmente conto Cesare Borgia) scese a trattative col Valentino. La sua richiesta in cambio della libertà di Bologna tuonò categorica agli ambasciatori bolognesi corsi a Villa Fontana ove trovavasi acquartierato il Borgia: la cessione di Castel Bolognese e la promessa di aiuti militari. Giovanni Bentivoglio constatò l’esistenza di una forte opposizione all’interno del Reggimento della città in merito alla cessione di Castel Bolognese perché, dicevano alcuni, non si poteva sacrificare quel castello così fedele alle sorti di Bologna abbandonandolo al Borgia. Tuttavia, non v’era altra scelta; Paolo Orsini, ambasciatore di Cesare Borgia, entrò in Bologna il 30 aprile 1501 per la firma dell’accordo, trovando l’esercito di quella città schierato lungo la Via Emilia dal Savena alle mura cittadine. 

Poco dopo, il Valentino abbandonò il campo di Villa Fontana per entrare con il suo esercito in Castel Bolognese. Non si conosce il giorno esatto dell’avvenimento; tuttavia un cronista bolognese scrive che “Il Duca fece radere al suolo le mura il 29 luglio 1501 e (il castello) appellossi Villa Cesarina”.

 


 

San Leo

Nell’estate del 1503 nulla sembra poter più fermare Cesare Borgia. Sfruttando al massimo le sue doti militari, politiche e soprattutto dinastiche, aveva conquistato buona parte di Romagna, Marche e Umbria, invaso il Regno di Napoli, minacciato la Toscana, stritolato la reazione dei suoi avversari che si erano accordati fra loro nella “congiura della Magione”.

Fra questi, ma ancora ben vivo, c’è anche Guidobaldo, l’ultimo dei Montefeltro. Ha perso Urbino e tutto il suo stato, ma da poco è riuscito ad arraffare di nuovo la strategica San Leo, culla dei suoi antenati. E il Valentino questo non lo può tollerare.

Le cose erano andate così: «San Leo, castello inespugnabile – scrisse il Fantuzzi – fo preso per lo duca di d’Urbino, peroché lo castellano, facendo portare in rocha un gran legno a j omini, lo inganorno, perché como fonno sul ponte della rocha, lasarno andare el legno e, levato il romore, intrarno dentro e prese el castellano e la fortezza per lo suo duca Guido Ubaldo». Il “castellano” era il governatore civile della città di San Leo, evidentemente ancora fedele ai Montefeltro, mentre la fortezza era tenuta da un comandante militare del Valentino.

Il 2 luglio Cesare Borgia arriva di persona a guidare l’assedio di San Leo. Ma: «Ogni dì dall’artiglieria si faceva molta uccisione di quelli di fuori, in maniera che i Guasconi tutti vi partirono. Erano questi in numero di 800 stati mandati per rinforzo agli assedianti, alli 16 di maggio sotto la condotta di un M. Pietro Spagnuolo, facendo il simile gli altri comandanti, et una sera essendo M. Pietro a provvedere che si facesse una strada coperta ci lasciò tre dei suoi morti fra i quali fu un suo capitano dei Balestrieri».

Si ricorre allora alle solite, barbare maniere di ogni guerra: tocca agli ostaggi innocenti. «Furono condotte in Corte d’Urbino, dove risiedevano i Ministri del Borgia, molte donne che in S. Leo avevano i figlioli o mariti o parenti con intenzione di menarle poi a S. Leo, e per vedere se per questa strada, col mostrale loro, avessero potuto ottenere la fortezza».

Ma i leontini non cedono. L’assedio continua con un Borgia sempre più infuriato: «Alli 10 quelli che erano accampati sotto S. Leo fecero un bastione e vi piantarono l’artiglieria, ma gli altri di dentro essendo stati a vedere il fine, ed in quel mentre avendo drizzata la loro verso il loco munito, subito in un punto dettero fuoco, e ripianando il bastione copersero tutti i Pezzi del nemico, ammazzando di essi 20 in circa in maniera che non trovassero più guastatori, e quelli che vi erano, si misero in fuga».

Il Borgia è esasperato e per giunta deve recarsi altrove, visto che i guai non mancano da nessuna parte. L’11 agosto 1503 lascia i suoi uomini sempre più demoralizzati, che il 28 di quello stesso mese saranno definitivamente cacciati da Guidobaldo sceso dal nord.

Ma quel che è peggio, proprio in quei giorni, il 18 agosto muore papa Alessandro VI. Per il Duca Valentino è l’inizio del tramonto.

 

 


 

Caterina Sforza

Caterina Sforza, figlia naturale (n. 1463 circa - m. Firenze 1509) del futuro duca di Milano Galeazzo Maria e di Lucrezia Landriani. Legittimata dal padre, moglie (1477) di Girolamo Riario, nipote di papa Sisto IV e signore di Imola e poi (1480) anche di Forlì, rivelò subito una natura assai energica, occupando per qualche tempo Castel S. Angelo alla morte di Sisto IV (1484). Quando suo marito venne ucciso (1488), si rinchiuse nella rocca forlivese di Ravaldino, mentre la città si consegnava al pontefice, e tenne duro fino a quando l'esercito dello Sforza e del Bentivoglio le restituì la signoria di Forlì, che essa tenne con quella di Imola come reggente per il figlio Ottaviano. Di fatto governò col suo amante Iacopo Feo, acquistando una parte di grande rilievo nella politica italiana al momento della calata di Carlo VIII; fu infatti a favore degli Aragonesi prima, dei Francesi poi. Dopo la morte di Feo (1495), sposò segretamente (1496 o 1497) Giovanni de' Medici, con il quale generò Giovanni dalle Bande Nere (1498). Caterina Sforza si difese animosamente contro Cesare Borgia e si preparò a resistere a un eventuale assedio. Iniziò ad arruolare e addestrare nuove milizie e a immagazzinare munizioni e viveri; poi potenziò le difese delle sue fortezze, soprattutto quelle di Ravaldino, dove lei stessa risiedeva. Il Borgia, però, non era un nemico di poco conto: una volta prese Imola e Forlì, pose l’assedio alla rocca di Ravaldino. Era il 19 dicembre del 1499. Caterina oppose una strenua resistenza, brandendo personalmente le armi sugli spalti, finché, il 12 gennaio del 1500, dopo una serie di sanguinosi scontri, i soldati di Cesare Borgia fecero breccia nelle mura di Ravaldino e la contessa fu catturata. Prontamente, la Sforza si dichiarò prigioniera dei francesi (alleati del Valentino), sperando di poter beneficiare di una legge in vigore nel regno di Francia che proibiva di tenere le donne come prigioniere di guerra. Ma fu inutile. Cesare Borgia la tenne con sé e la condusse a Roma, dove fu accolta da papa Alessandro VI con apparente cortesia e alloggiata presso lo splendido palazzo del Belvedere, in cima al colle Vaticano. Tuttavia, in seguito a un suo fallito tentativo di fuga e accusata di aver cercato di assassinare il papa con una serie di lettere impregnate di veleno, la fiera contessa fu incarcerata a Castel Sant’Angelo; ironia della sorte, proprio la fortezza che molti anni prima aveva difeso con tanto ardore.

E ora, uno sguardo sulle città romagnole al tempo di Caterina Sforza...

 


 

Forlì

La rocca di Ravaldino di Forlì è una vera cittadella fortificata in quanto era anche sede dell’esercito di Caterina Sforza e di Girolamo Riario. La rocca fu la residenza principale della coppia e delle signoria dopo la distruzione del palazzo Riario che sorgeva nella piazza di Forlì dopo l’assassinio di Girolamo ad opera della famiglia Orsi. La contessa Sforza qui visse a lungo, qui aveva il suo giardino delle erbe e delle spezie e qui ebbero luogo alcuni degli episodi più famosi della sua storia. In questo luogo Caterina fece erigere il famoso Paradiso, che altro non era che una sorta di dependance con i suoi appartamenti privati e una corte, ora purtroppo andato perduto. Sul lato est della fortificazione è ancora oggi visibile, proprio sotto allo stemma dei Riario Sforza, il punto in cui Cesare Borgia con le bombarde riuscì ad aprire un varco ed espugnare la rocca. La rocca è purtroppo visitabile solo in parte e solo esternamente.

 


 

Forlimpopoli

Anche se a Forlimpopoli non si svolsero momenti decisivi o particolarmente salienti della vita di Caterina, sappiamo che la rocca rappresentava un importante punto strategico militare e, a quanto ci risulta, veniva utilizzata per incontri diplomatici.

 


 

Terra del Sole

Concepita come “Città fortezza”, e non come semplice fortilizio, questa splendida cittadella rinascimentale sorprende piacevolmente il visitatore ogni periodo dell’anno. Sorta per volontà di Cosimo I De’ Medici, Granduca di Toscana, nipote di Caterina Sforza, è uno dei pochi centri urbani a vantare una precisa data di fondazione: l’8 dicembre 1564. La cittadella vanta edifici in pietra serena di foggia fiorentina ed era il cosiddetto “granaio” della Toscana, ovvero qui nei suoi arsenali e magazzini veniva stoccato il grano raccolto nei campi romagnoli che Cosimo conservava per i tempi di maggiore necessità. La perfezione delle proporzioni degli edifici e l’estetica del progetto sono le caratteristiche della città “ideale” che Cosimo intendeva creare, seguendo i canoni del rinascimento italiano.

 


 

Castrocaro Terme

A lungo è stato il luogo di confine tra la Romagna e i domini fiorentini dei Medici, difatti ai tempi di Caterina Sforza il territorio era un luogo di passaggio dotato di posti di guardia e dogane. La Contessa usava spesso incontrare qui gli ambasciatori provenienti da Firenze. La fortezza di Castrocaro è un mirabile esempio di edificio fortificato medioevale che vanta ambienti di grande suggestione poiché fu costruito completamente sullo “spuntone” di roccia che sovrasta il borgo antico. La fortezza fu costruita in una posizione strategica su quello che resta di un’antica scogliera sottomarina risalente all’era del Pliocene (10 milioni di anni fa), formata da pietra arenaria calcarea ricca di fossili marini di grande rilevanza geologica. La fortezza un tempo faceva parte dei possedimenti di Caterina Sforza e oggi è uno dei castelli meglio conservati della zona. I panorami mozzafiato offrono una vera esperienza indietro nel tempo. Qui le leggende narrano che Caterina si unì segretamente in matrimonio con Giovanni de’ Medici, suo terzo marito e ambasciatore dei Medici nelle terre di Romagna e qui ancora oggi vi sono le segrete e le celle di prigionia così come il pozzo a rasoio per i condannati a morte. Sulle colline di Castrocaro, purtroppo non visitabile, sorge anche la Rocca di Monte Poggiolo edificata nel 1471, famosa per essere stata ai tempi di Caterina Sforza, una delle sue rocche di avvistamento e difesa più efficaci. Anche qui all’interno del maschio si trova un famoso pozzo a rasoio detto anche Pozzo della regina nel quale, secondo la leggenda, la Contessa faceva cadere gli sfortunati amanti e nemici. Pare che un tunnel sotterraneo segreto collegasse la Rocca di Monte Poggiolo a quella di Ravaldino a Forlì e che Caterina utilizzasse questa via per fuggire da situazioni di pericolo ma oggi purtroppo tutto è andato perduto.

 


 

Riolo Terme

La Rocca di Riolo è una delle rocche più interessanti del territorio, per lo stato di conservazione in cui si trova. Di fine XIV secolo, questa fortificazione militare appartiene alla tipologia della “transizione”, in cui si sommano caratteristiche architettoniche medievali e rinascimentali: il fossato e le caditoie per il tiro piombante, le camere di manovra con le bocche di fuoco per il tiro radente fiancheggiante. La rocca è sforzesca e forse venne visitata da Caterina Sforza.

 

 


 

Dozza

La Rocca di Dozza è un complesso monumentale di origine medievale trasformato da Caterina Sforza in castello fortificato e adibito, in epoca rinascimentale, a residenza nobiliare. Situata in alto sulle colline imolesi, quindi in un luogo strategico per la difesa la rocca è immersa nell’incantevole borgo che porta lo stesso nome, a due passi da Imola. Caterina Sforza spesso vi soggiornava durante i suoi spostamenti in Romagna. Gli ambienti sono tra i più suggestivi come il famoso pozzo a rasoio, la sala delle torture, gli appartamenti nobili, la cucina del castello perfettamente conservata, le splendide viste e i panorami che si godono dalle torri che permettono di immergersi davvero nel passato.

 


 

Imola

Fondata nel XIII secolo, la Rocca di Imola costituisce uno splendido esempio di architettura fortificata tra Medioevo e Rinascimento. Aggiornata alle moderne esigenze di difesa dalle armi da fuoco tra 1472 e 1484, per volere della corte milanese degli Sforza, si dota di rivellini, torrioni angolari circolari, cannoniere decorate con ornati e emblemi della signoria Riario-Sforza, e si impreziosisce di ambienti residenziali come il Palazzetto del Paradiso, prima di essere destinata a prevalente uso carcerario tra XVI e XX secolo. Insieme alla Rocca di Forlì essa fu la residenza di Caterina Sforza che vi soggiornò soprattutto nei primi anni del suo governo in Romagna. Oggi ospita la sede dei musei civici con una notevole esposizione di ceramiche e armi in uso nei secoli in cui la rocca era adibita a difesa del territorio.

 


 

Bagnara di Romagna

Il borgo si trova nella verde pianura ravennate a sud-ovest di Lugo, lungo gli Stradelli Guelfi, il percorso parallelo alla Via Emilia che un tempo collegava vari castelli, chiese e residenze signorili, da Bologna fino al mare Adriatico. In tutta la pianura romagnola, Bagnara costituisce un raro esempio di “castrum” medievale integralmente conservato. L’intero sistema difensivo che comprende la rocca sforzesca, il muro di cinta ed il fossato è perfettamente visibile anche ai nostri giorni e forse venne visitata da Caterina Sforza.

Bagnara di Romagna (RA), Rocca sforzesca

Ultimo aggiornamento 27/06/2023
SITO UFFICIALE DI INFORMAZIONE TURISTICA